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La strana cultura della Navigazione nella storia della penisola italiana

Quando un Paese non prende atto di avere 7.456 chilometri di coste

da Capitale Intellettuale

Marco Tommasi Istruttore, formatore, docente, Presidente LNI (Lega Navale Italiana) Cesenatico, Direttore Centro Studi Navigazione Ambiente Sicurezza

Il mare per i popoli è stata una straordinaria occasione di scoperta, sia per il commercio che per la predazione. Nei millenni per alcuni è servito a fuggire dalla miseria in terre poco ospitali, per altri è divenuto simbolo di invasioni e saccheggi e generatore di incertezza e paura.

Per i primi ha rappresentato la speranza, e il racconto della fuga è divenuto la rappresentazione della natura stessa di alcune nazioni, assegnando al “Viaggio” il ruolo di simbolo e leggenda da tramandare.

Storicamente, da Salamina ad Azio, da Lepanto a Gravelines, da Abukir a Trafalgar, da Sebastopoli a Navarino, da Tsushima allo Jutland, da Midway al D-Day, i destini dell’umanità sono stati sovente decisi sull’acqua, e quasi sempre da singoli eventi.

Guerre di quattro, sette, trenta e cent’anni, con il loro corollario di distruzioni, morti, devastazioni, epidemie, alleanze, tradimenti, assalti e trincee, spesso non sono state sufficienti a produrre cambiamenti altrettanto repentini e definitivi quanto una singola battaglia navale. Battaglia che ha quasi sempre trasceso l’evento in sé, influenzando indirettamente quelli successivi, anche se distanti dal posto in cui gli uomini egli scafi pagavano il loro tributo alle divinità marine e ai più terreni interessi economici.

Binomi della Geografia del Pensiero come Oriente e Occidente, Democrazia, o Assolutismo, con tutte le implicazioni sociali, storiche e politiche, hanno sempre visto e vedono sul mare la propria affermazione e consacrazione o sconfitta e fallimento.

Image 2: La massima evoluzione della nave a vela, i Clipper

I modelli delle imbarcazioni e gli standard sono sempre stati definiti e poi imposti da chi ha dominato i mari e gli Oceani. Per millenni l’idea stessa di spostamento, commercio, dominio, scoperta, occupazione e viaggio, è stata intrinsecamente legata al binomio Mare-Nave.

Chi domina gli oceani domina il mondo.

L’Impero egiziano, i Fenici, le Città Stato elleniche, l’Impero persiano, Cartagine, Roma, la Cina, il Giappone, Venezia, la Lega Anseatica, il Portogallo, la Spagna, l’Olanda, l’Inghilterra e gli Stati Uniti hanno affermato il loro dominio solo allorquando si sono spinte in mare e finché sono state in grado di mantenere il controllo delle rotte.

La nascita del capitalismo, a fine ‘600, ha coinciso con lo sviluppo dei commerci, con l’apertura di sempre nuove vie marittime e il superamento dei confini e delle barriere, con l’ascesa della borghesia e con il declino del sistema feudale legato al possesso della terra. Un cambiamento epocale negli usi e nei costumi radicati ormai da secoli.

È possibile trovare tracce di questo Nomos nella tradizione e nella cultura di un popolo? Una prima risposta può essere fornita dalla letteratura.

Senza scomodare Omero, in epoche recenti, autori come Conrad, Melville, Stevenson, Defoe, Coleridge, Wordsworth, Poe, Kipling, Verne, Hugo, London, De Maupassant, in duecento anni hanno variamente solcato con le loro penne gli Oceani letterari, rappresentando idee di cambiamento, evoluzioni del pensiero, e sviluppo dei costumi e delle caratteristiche dell’uomo.

In questo lungo periodo hanno creato veri e propri poemi epici come Moby Dick o la Balena e capolavori assoluti come L’isola del Tesoro e Robinson Crusoe. Queste opere sono veri e propri spaccati della loro realtà storica e, da un punto di vista sociale, sociologico e psicologico ante litteram, fanno emergere una capacità introspettiva e una profondità di pensiero che solo il mare può consentire di rappresentare.

Il XX secolo porta la “letteratura di mare” a diventare una vera e propria categoria letteraria autonoma: la rappresentazione della navigazione diviene in quel momento una metafora introspettiva, un diario personale, un percorso esperienziale e di vita.

Romanzo di Formazione, come rappresentazione dell’homo novus scaturito dalle ceneri del secolo precedente e che si afferma con il progressivo passaggio della navigazione come obbligo (la Galera), ribellione (la Nave Pirata), lavoro (il Peschereccio, la Baleniera, il Veliero Mercantile), guerra (la Trireme, il Galeone, il Vascello), scoperta (la Caravella), saccheggio (il Drakkar), controllo della linea di confine (la nave Corsara), a scelta di vita non motivata da un bisogno economico o da un obbligo materiale.

Inizia con Joshua Slocum la moderna epopea dello Scrittore-Navigatore Solitario, dell’uomo che sceglie di andar per mare sospinto da una necessità interiore, da un male del vivere (a terra), da un bisogno di scoprire sé stesso attraverso la metafora della navigazione, di crescere, cambiare, formarsi e dare forma a ciò che non avrà mai forma stabile e duratura.

Percorso che sarà evidente in letterati naviganti come Alain Bombard, Vito Dumas, Jerome Poncet, Gerard Janichon, Francis Chichester, Jacques Brel e, in modo compiuto e articolato, in Bernard Moitessier. Quest’ultimo è autore di una quadrilogia che è un vero e proprio percorso esperienziale e introspettivo, lo specchio di un mondo che cambia con una celerità mai vista prima e che, per rappresentare questa rapidità, viene utilizzata l’apparente e ingannevole lentezza della barca.

Essi rappresentano in prima persona il passaggio all’età adulta in modo epico o tragico, la fuga da un mondo divenuto incomprensibile e la faticosa ricerca di elementi utili a comprendere e affrontare una società in mutazione più rapida di quanto la loro mente può sopportare.

Verga, Salgari, Fenoglio, Tobino, Baricco hanno scritto in Italia pagine intense, ma non sono dei Navigatori, e, di conseguenza, viene a mancare quel tratto autobiografico caratteristico del diario e le emozioni vengono affidate a un personaggio terzo. Questo è un modo per “rappresentare una scena”, piuttosto che “vivere la vita” a dimostrazione della propria progressiva emancipazione.

Dalle nostre parti urla e biancheggia il mar, ma lo si ascolta restando al sicuro per le vie del borgo, preferendo il più familiare e foriero di facili promesse ribollir dei tini, mentre sono stormi d’uccelli neri a migrare e a raggiungere lontane sponde, da sempre precluse al cacciatore intento ad ascoltare rassicuranti voci e rumori della terra.

Dalla fine del dominio romano sul Mare Nostrum, proprio dal mare arrivavano i guai: normanni, arabi, turchi, corsari, pirati.

La penisola italiana, di conseguenza, si è letteralmente sempre più arrampicata verso l’Appennino; nella percezione comune e nelle tradizioni le spiagge erano diventate un confine fisico insuperabile, così le varie generazioni si sono portate progressivamente più lontano dal mare e dai suoi perigli. Tutto ciò è diventato nel tempo un vero e proprio limite culturale nella Geografia del Pensiero individuale e del popolo, facendo crescere in esso pregiudizi che lo hanno allontanato da enormi opportunità.

L’ultima incursione dei corsari barbareschi è del 1830, e il primo stabilimento balneare sulle coste della Romagna è del 1849. In diciannove anni si è passati da una secolare visione del mare come luogo pericoloso alla metafora del concetto di “vacanza”, ma limitatamente alla battigia o al massimo a qualche centinaio di metri nel mare.

Nella penisola italica un’eccezione è stata rappresentata dalle Repubbliche Marinare, che si distinguevano politicamente e organizzativamente come rango e dignità, ma rappresentavano solo sé stesse ed erano orgogliose di non appartenere a un contesto comune, che si presentava frammentato e comunque terricolo.

La visione di Venezia, Genova, Pisa e Amalfi, simboli ancora presenti nella bandiera della marina italiana, era comunque Mediterranea, al massimo Atlantico-costiera.

In questa ottica spaziale decisamente ristretta rispetto alla visione Oceanica, progressivamente acquisita da altri popoli, risiede proprio ciò che poi porterà all’inizio della marginalizzazione e alla decadenza della Serenissima, delle sue consorelle e anche dell’Impero Ottomano: in tempi che si possono considerare brevi, una dopo l’altra sono state escluse dalle rotte che hanno portato nei secoli successivi alla scoperta dei Nuovi Mondi, allo sviluppo del nuovo concetto di spazio e all’evoluzione del pensiero, dell’economia, delle forme sociali e statali.

Ne è derivata una sorta di italica rassegnazione verso la navigazione e le scoperte, e sono stati adottati linguaggi e simbologie di terra, mentre negli altri paesi la storia riporta che le imprese più audaci sono nate nel mare dalla visione di persone lungimiranti che le hanno realizzate.

Image 3: La massima evoluzione della nave da guerra con cannoni, la nave da battaglia o corazzata

Così nel 1509 un convoglio di galee bastarde lunghe 40 metri compì una navigazione di 2.500 miglia da Southampton alla Puglia in 31 giorni, e tre di queste navi avevano 700 uomini di equipaggio. Il primo viaggio di Colombo nel 1492 fu di circa 3.100 miglia e durò 39 giorni utilizzando tre navi a vela di 20, 22 e 27 metri (due caravelle ed una caracca) e 87 uomini di equipaggio.

A quel tempo era diventato evidente che il mondo remiero veneziano non poteva spingersi in alto mare, dove occorreva una tradizione velica, così i navigatori italici furono costretti a emigrare per diventare esploratori.

Cristoforo Colombo, navigatore e scopritore del Nuovo Mondo: due caravelle e una caracca, spagnole.

Amerigo Vespucci, navigatore, esploratore del continente sudamericano e ideatore dell’espressione Mundus Novus: al servizio di Ferdinando II e Isabella di Castiglia.

Giovanni Caboto, navigatore e scopritore del Canada: al servizio di Enrico VII d’Inghilterra.

Sebastiano Caboto, navigatore, cartografo esploratore in Sud America e maggior cosmografo dell’epoca: al servizio di Enrico VIII d’Inghilterra, Ferdinando II d’Aragona e Carlo V di Spagna.

Antonio Pigafetta, navigatore, cartografo, autore della Relazione del primo viaggio intorno al mondo: al seguito di Ferdinando Magellano e al servizio di Carlo V di Spagna.

Andrea Corsali, navigatore e scopritore della Nuova Guinea, primo ad intuire l’esistenza del continente australiano e consideratone lo scopritore ideale, osservatore della Croce del Sud e delle Nubi di Magellano, portatore dei caratteri di stampa in Africa, esploratore dell’Etiopia, emissario del Papa presso Prete Gianni e studioso e traduttore della lingua caldea: imbarcato a Lisbona per i suoi due viaggi di esplorazione.

A loro si sono aggiuti Leon Pancaldo e Michele da Cuneo in Spagna, Angiolino de’ Corbizzi in Portogallo, Giovanni da Verrazzano in Francia, Antonio e Niccolò Zeno nel Feudo delle Isole Orcadi.

Poi, come non citare il mito transnazionale di Giuseppe Garibaldi, navigatore, capitano di lungo corso e corsaro, nato italiano e morto in esilio su un’isola perché la sua città natale era nel frattempo divenuta francese per un accordo fra sovrani che non accettò mai.

Un esempio evidente della permeazione tra storia e tradizione, che travalica gli ambiti settoriali per diventare il paradigma di un intero popolo, è dato dalle forme lessicali: in inglese il suffisso ship viene utilizzato per formare sostantivi astratti come leadership, membership, fellowship.

Il verbo spedire si traduce con to ship; decollare si può dire ship off the ground, caricare si traduce con to ship, così come trasferire. Guard ship è qualcosa che tutela, ship date è la data di spedizione, to ship out significa lasciare, ship shape è in perfetto ordine, spaceship è l’astronave, tight ship significaorganizzazione perfetta, airship è il dirigibile, poi lordship, horsemanship, workmanship, scholarship.Essere instabile si traduce rock the boat, farsi le ossa learn the ropes, perdere l’occasione miss the boat, tra l’incudine e il martello between the devil and the deep sea.

Per gli anglosassoni, il pronome riferito alla barca, all’imbarcazione o alla nave è She, non It, ovvero non si parla di una cosa, ma di un Essere di genere femminile a tutti gli effetti.

Carl Schmitt ha tracciato un percorso di riscoperta che, partendo dall’ovvia constatazione della prevalenza quantitativa dell’elemento acqueo su quello terrestre, rilegge la storia in relazione all’appartenenza dei vari popoli e delle nazioni ad uno dei due elementi.

Lo fa attraverso un percorso di prospettiva spaziale, individuale prima e collettiva poi, utilizzando una raffigurazione del mondo strettamente connessa e correlata con l’orizzonte artificiale soggettivo del territorio e con il suo corollario di usi, costumi e simboli.

Ad esempio, Venezia seppe passare dalla logica della fuga da un territorio inospitale a un’occasione per muovere verso nuove zone inesplorate e pericolose ma, al tempo stesso, colme di opportunità.

Invece, in altre parti del territorio, il passaggio evolutivo è stato legato a una visione prettamente terrestre, con lo sviluppo di civiltà:

  • montane, costrette in percorsi determinati da valichi e valli percorribili solo in determinate condizioni per garantire la difesa,
  • rurali e stanziali, perché vincolate alla consapevolezza che la terra non può essere abbandonata a sé stessa ma deve essere curata in tutte le stagioni,
  • scientifiche, per realizzare mezzi di trasporto sempre più efficienti,
  • storiche, perché le città hanno portato obblighi, regole, controlli e per secoli sono state legate alla presenza di mura di cinta.

Sul versante opposto dello spirito di ricerca dell’avventura si trova Albione, poi chiamata Britannia e Gran Bretagna, il cui un popolo ha abbandonato gli stenti di una terra avara per diventare autore di un’epocale Rivoluzione Spaziale con il dominio delle rotte commerciali, che nel tempo sono arrivate a unire “il più grande impero che la storia abbia mai conosciuto”.

Il Congresso di Vienna del 1814 fotografa la distanza fra una democrazia parlamentare come quella del Regno Unito, protesa alla conquista degli Oceani, e le monarchie assolute dei principali stati europei, saldamente ancorate alla terra.

La crescita della Royal Navy fu accuratamente programmata. Nel 1871, a bordo della britannica HMS Devastation, con un equipaggio di 329 marinai, erano imbarcate 1.350 tonnellate di carbone, sufficienti per un’autonomia di 10.350 km alla velocità di 10 nodi e con una velocità massima raggiungibile di 13,84 nodi.

Questo rese necessario approntare una serie di Coaling Stations presso i principali porti delle isole britanniche, del Canada, dell’Australia, della Nuova Zelanda, dell’Africa britannica, dell’India, di St. Elena, di Ascension, delle Isole Falkland, della Giamaica, delle Bermuda, di Gibilterra, di Malta, e anche a Port Said, Aden, Colombo, Singapore, Labuan, Hong Kong, Chagos, Seychelles, Mauritius, Thursday Island, Suva e Fiji.

Image 4: . La Capital Ship dalla II Guerra Mondiale ad oggi, la portaerei

Così nacque e si sviluppò il Commonwealth.

Esattamente in quegli anni fu data alla penisola italiana un’ultima possibilità di ritagliarsi una porzione di storia nell’ambito della navigazione. Nel 1902 Vittorio Cuniberti, colonnello del Genio Navale Italiano, presentò a Vittorio Emanuele III di Savoia il progetto della “corazzata monocalibro”, che rivoluzionava il concetto di Capital Ship.

Ma la proposta non creò alcun interesse, così egli propose il progetto alla Royal Navy.

Lo sviluppo nella terra inglese portò alla costruzione della Dreadnought, varata nel 1906, così rivoluzionaria da provocare lo smantellamento di 154 navi da guerra che rappresentavano ancora l’orgoglio della Royal Navy alla parata navale di Spithead del 1897!

Queste corazzate hanno assicurato la supremazia britannica sui mari nei successivi quarant’anni, fino all’avvento delle portaerei nel secondo conflitto mondiale. Da quel momento le nuove Capital Ship sono state proprio queste “città armate galleggianti”, che hanno consegnato il dominio dei mari e dei commerci agli Stati Uniti, perché uniscono alla nave nel mare anche gli aerei come forza di attacco, aiuto e difesa nel cielo.

Partendo dal presupposto che lo sviluppo del commercio è essenziale in termini di aumento della potenza, e che il mare è il mezzo più veloce ed economico per il trasporto delle merci, allora uno stato avrà interesse a sviluppare una flotta commerciale. Questo stesso stato dovrà inoltre garantire la sicurezza della propria flotta commerciale attraverso una marina militare sufficiente ad evitare che le rotte vengano distrutte da eventuali minacce esterne

Alfred T. Mahan. «The Influence of Sea Power upon History»

ANNO12 N.2

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1. La massima evoluzione della nave a remi, la Galea: https://it.wikipedia.org/wiki/Galea

2. La massima evoluzione della nave a vela, i Clipper: https://it.wikipedia.org/wiki/Cutty_Sark

3. La massima evoluzione della nave da guerra con cannoni, la nave da battaglia o corazzata: https://it.wikipedia.org/wiki/Nave_da_battaglia

4. La Capital Ship dalla II Guerra Mondiale ad oggi, la portaerei: https://it.wikipedia.org/wiki/Portaerei

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