Carlo Del Sante Consulente Apco Qualità e Sicurezza
In controtendenza rispetto alla crisi di credibilità internazionale del nostro paese ed all’assenza di politiche nazionali di tutela e sovvenzione del marchio “Made in Italy”, si segnala un crescente interesse da parte di aziende di vari settori (tessile, alimentare, automotive, energetico, ecc.) ad associare al proprio prodotto il marchio di provenienza italiana, a garanzia per il cliente di una specificità rispetto ai concorrenti e a prevenzione di pericolose delocalizzazioni produttive verso paesi in via di sviluppo.
La possibilità di supportare la dichiarazione “Made in Italy” con una certificazione di terza parte rilasciata da un ente accreditato, e riconosciuto a livello internazionale, può rinforzarne l’ attendibilità e la spendibilità sul mercato. In mancanza di leggi o regolamenti che possano disciplinare o sovvenzionare tale dichiarazione (come ad esempio nel caso del settore fotovoltaico, dove il decreto interministeriale 5 maggio 2011 prevede tariffe incentivanti per la costruzione di impianti sul territorio italiano) nasce quindi l’esigenza di una certificazione volontaria del “Made in Italy”, per la quale possono risultare utili le seguenti informazioni.
ITER DI CERTIFICAZIONE VOLONTARIA “MADE IN ITALY”
L’iter tipico di una certificazione “Made in Italy” richiede di:
- identificare la linea di prodotti alla quale applicare la certificazione “Made in Italy”;
- scegliere un ente di certificazione accreditato e riconosciuto a livello internazionale (non necessariamente italiano, anzi meglio se straniero: risulta più credibile!);
- In assenza di documenti di riferimento di terza parte (ad esempio: leggi, normative, regolamenti, decreti ministeriali) che descrivano come dichiarare un prodotto “Made in Italy” (ad es. il DM 5 maggio 2011 per il fotovoltaico), stendere e condividere con l’ente di certificazione scelto un “disciplinare tecnico” che preveda le specifiche della certificazione stessa. Tali specifiche possono riportare vincoli:
- sull’acquisto delle componenti del prodotto, che deve essere effettuato da fornitori italiani o da ditte aventi filiale italiana regolarmente iscritta alla camera di commercio;
- sull’assemblaggio di tali componenti fino al collaudo del prodotto finito, che deve essere effettuato sul territorio italiano;
4) Una volta condiviso il disciplinare di certificazione, e raccolte le evidenze documentali di supporto (procedure, manuali, distinte, ordini di acquisto), condividere con l’ente di certificazione:
- con quale frequenza e modalità operativa effettuare visite ispettive:
- sul sito produttivo principale (dove avviene la progettazione, l’assemblaggio e il collaudo del prodotto finito);
- su siti produttivi secondari (dove avviene il pre-assemblaggio di parti o semilavorati) e fornitori di componenti ritenuti critici per il funzionamento del prodotto finito;
- con quale modalità gestire eventuali non conformità rilevate rispetto al disciplinare tecnico;
- con quale modalità rilasciare il certificato di conformità e condurre le visite periodiche di mantenimento e rinnovo del certificato stesso;
- come utilizzare il marchio acquisito, ovvero: in associazione “esclusiva” al prodotto o alla linea di prodotto certificata, ma non ad altri prodotti o servizi offerti dall’azienda.
COSTI DI CERTIFICAZIONE PREVISTI
Trattandosi di un ambito volontario, non esiste un tariffario di riferimento: il costo della certificazione “Made in Italy” andrà rapportato al costo giornaliero dell’ente scelto per la certificazione e valutato caso per caso. Si può comunque stimare:
- una giornata/uomo, per l’analisi dei requisiti e la stesura del disciplinare tecnico (ove non presenti leggi, normative o decreti di riferimento);
- un paio di giornate/uomo per la analisi documentale preliminare e la visita ispettiva al sito produttivo principale, più eventuali siti produttivi secondari, per la certificazione iniziale;
- un paio di giornate/uomo all’anno, per il mantenimento della certificazione, nella quale vengano ad essere sottoposti ad audit il sito produttivo principale ed eventuali siti prodottivi secondari.
Per un totale di due-tre giornate/uomo all’anno, più eventuali giornate/uomo aggiuntive per la chiusura di non conformità bloccanti il rilascio del certificato.
A tali costi visibili andranno poi aggiunti i costi nascosti legati all’impiego del personale interno che dovrà seguire l’iter di certificazione con l’ente ed affiancare gli ispettori durante le visite, coordinando le azioni correttive alle eventuali non conformità individuate.
BENEFICI ATTESI
Trattandosi di un ambito volontario, non esiste un ROI (Return Of Investment) oggettivo e documentato. Chi opera in settori tradizionalmente sensibili al “Made in Italy” (tipo l’alimentare o l’abbigliamento) oppure ha a che fare con concorrenti provenienti da paesi in via sviluppo, potrà senz’altro beneficiare dell’aumento di credibilità dato dalla certificazione di terza parte, spendendola come plus per acquisire nuovi clienti o fidelizzare i clienti esistenti. Da non sottovalutare inoltre, il ritorno “patriottico” dato da tale marchio sui clienti italiani, in particolare in questo momento di crisi del nostro paese e di “chiamata alle armi” a difesa della nostra economia.
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