Luca Pasini Consulente in ambito sicurezza sul lavoro e ambiente
Nei lontani anni ’50 l’Italia fu uno dei primi paesi europei a dotarsi di un quadro normativo in materia di tutela dei lavoratori dai rischi presenti nei luoghi di lavoro.
Analizzando inoltre l’evoluzione del nostro quadro normativo in materia di sicurezza sul lavoro possiamo definire il 1994 come un anno che ha portato un’importante svolta nella gestione della sicurezza negli ambienti produttivi.
L’emanazione del D.Lgs. 626/94 portò a definire in modo chiaro un concetto fondamentale, ovvero la responsabilità di ciascun lavoratore riguardo la salute e sicurezza propria e delle altre persone presenti nel luogo di lavoro, in funzione della formazione ricevuta, delle istruzioni e mezzi forniti dal datore di lavoro.
Come logica conseguenza di quanto sopra si definiva in modo esplicito anche la necessità di informare, formare e, ove necessario, addestrare i lavoratori riguardo i rischi presenti nei luoghi di lavoro e sulle corrette procedure operative, con particolare riferimento alla gestione dei rischi residui, cioè quelli non eliminabili attraverso interventi migliorativi di natura tecnica ed organizzativa.
Negli anni precedenti al D.Lgs. 626/94 furono emanati altri decreti che prevedevano una formazione specifica per i lavoratori addetti a particolari mansioni o esposti a rischi gravi: basti ricordare la necessità di abbinare la formazione alla consegna dei cosiddetti dispositivi di protezione individuale (DPI) “salvavita” (maschere filtranti, autorespiratori, imbracature e dispositivi contro le cadute dall’alto, per citarne alcuni) definita dal D.Lgs. 475/92.
Il decreto però chiedeva una cosa differente: era fatto obbligo al datore di lavoro di informare i propri lavoratori sulla struttura aziendale in tema di sicurezza (“chi fa cosa”) e sui rischi a cui risultavano esposti durante l’attività lavorativa, al fine di renderli consapevoli delle possibili conseguenze sulla sicurezza e salute di tutte le persone presenti nel luogo di lavoro, formandoli ed addestrandoli riguardo l’applicazione delle procedure e delle buone prassi. Venivano inoltre fissati dei riferimenti precisi sull’erogazione della formazione, che doveva (e deve tuttora) essere svolta all’atto dell’assunzione, ad ogni trasferimento o cambiamento di mansione da parte del lavoratore, ad ogni modifica significativa che interviene nel processo produttivo (introduzione di nuove attrezzature e macchine, nuove tecnologie, nuove sostanze chimiche, ecc…) e successivamente ripetuta periodicamente, anche in funzione dell’evoluzione aziendale e della tecnologia applicata.
Si chiedeva, in estrema sintesi, di creare la “cultura della sicurezza”.
Nel periodo compreso tra settembre 2007 e agosto 2009 venne intrapreso un processo di revisione e aggiornamento del quadro normativo che si concluse dapprima con l’emanazione del D.Lgs. 81/2008 e la successiva modifica allo stesso, con il D.Lgs. 106/2009.
Da quel processo l’attenzione alla formazione ne uscì rafforzata: infatti non solo le indicazioni del D.Lgs. 626/94 vennero confermate, ma venne fissato un altro importante elemento, ovvero che la formazione deve essere efficace (adeguata, sufficiente, deve tenere conto delle differenti provenienze dei lavoratori e prevedere la verifica sull’apprendimento) e appositamente progettata per lavoratori, proposti e dirigenti, con l’obiettivo di fornire a ciascuno adeguati strumenti per la gestione delle proprie responsabilità.
Nonostante quindi il quadro normativo nel corso degli anni abbia sempre più attribuito importanza alla formazione, molte aziende continuano a ritenere che le risorse impiegate in questo ambito siano spesso prive di un reale ritorno in termini di maggiore sicurezza, tant’è che spesso si predilige l’investimento in interventi strutturali ed organizzativi (inserimento di protezioni su linee produttive, redazione di procedure operative, ecc.) all’investimento sulle persone.
Una delle principali ragioni di questa tendenza può essere ricercata nel legame tra investimento e risultato ottenuto: aumentare la sicurezza di una macchina incrementando le protezioni presenti rappresenta un investimento tangibile, del quale è possibile vedere il risultato in modo esplicito non appena terminata la fase di installazione, mentre investire in formazione, significa investire su un obiettivo molto più complesso, ovvero cambiare le “teste” delle persone presenti nelle nostre aziende, che potremmo definire “intangibile”.
È altresì vero che la storia della prevenzione e sicurezza è già passata attraverso il sentiero degli interventi tangibili, ottenendo buoni risultati che, ad oggi, sembra ci abbiano portato al loro limite asintotico: infatti nonostante la maggior parte delle aziende abbia strutture produttive rispondenti alle norme di sicurezza, tutti gli anni riviviamo una tragica realtà che racconta di diverse migliaia di nuovi invalidi e morti sul lavoro.
Andando inoltre a recuperare le conclusioni di studi ed analisi svolte sui temi della prevenzione degli infortuni risalenti alla realtà industriale statunitense degli anni ’30, troviamo affermazioni “rivoluzionarie”: si può infatti leggere che circa il 88% degli infortuni sono dovuti a comportamenti errati di persone (solo il 10% era imputabile a difetti di funzionamento delle macchine…. era il 1930!!), che gli infortuni sono generati da errori di persone indotti da fattori ereditari, come ad esempio le nostre esperienze, la formazione ricevuta e l’ambiente sociale sfavorevoli ma, anche che un’azienda sicura è un’azienda produttiva, ovvero sicurezza e produzione non sono in opposizione.
Mettendo insieme quindi quanto imposto dalla normativa odierna in materia di sicurezza e quanto ci insegna la storia si potrebbe giungere ad una conclusione: la formazione effettuata non come esclusivo adempimento di legge, ma come modalità per agire sulle persone o, ancora meglio, per aiutarle ad evolvere, rappresenta probabilmente il migliore modo per generare risultati in termini di sicurezza che siano nel contempo determinanti e duraturi nel tempo.
La buona formazione, quella che porta a definire una sicurezza efficace, deve quindi inevitabilmente passare attraverso non solo una fornitura di conoscenze tecniche e nozioni comportamentali ai lavoratori, ma anche produrre una seria presa di coscienza da parte di questi riguardo ai vantaggi che la sicurezza in azienda può portare per ognuno di loro, sia in termini di qualità della vita che in termini economici.
Questo percorso presenta sicuramente maggiori difficoltà rispetto ad un percorso di formazione “standard”: ci si troverà infatti a dover abbattere barriere culturali costruite sull’ansia legata al nuovo approccio e a scardinare abitudini consolidate nel passato.
L’obiettivo finale da raggiungere però è particolarmente pregevole e rilevante: riuscire a produrre un cambiamento di mentalità tale per cui la prevenzione e l’attenzione alla sicurezza non siano solo un’imposizione della dirigenza, ma una richiesta del lavoratore stesso, in quanto vissute come un requisito fondamentale del luogo di lavoro e per il benessere personale.
Come nel 1930, la maggior parte degli infortuni che quotidianamente accadono nelle nostre aziende sono riconducibili a comportamenti errati delle persone (rimozione di protezioni, azioni non sicure, disattenzioni, ecc…): dimostrando ed insegnando a tutte le persone dell’organizzazione (dal datore di lavoro fino ai lavoratori) che la sicurezza è un valore, così come lo devono essere la qualità del prodotto ed i volumi realizzati, e non pretendendo il rispetto acritico di norme e procedure si potrà ottenere una reale ed efficacie gestione della sicurezza, partendo da una valutazione dei rischi effettuata con l’apporto delle singole competenze aziendali, fino alla definizione di misure di miglioramento e procedure largamente condivise e quindi rispettate ed applicate con costanza.
Prendendo spunto dalla metafora del prigioniero (“si può imporre la prigionia, non la libertà”) possiamo concludere che, se fino ad oggi la gestione autoritaria ed impositiva della sicurezza ha portato ai risultati conosciuti, ora è giunto il momento di insegnare ai nostri dirigenti, preposti e lavoratori la “libertà” di lavorare in sicurezza.
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