Casa ManagementStrategia L’intelligence Economica ed il modello Defence of Small and Medium Companies: il ruolo degli incentivi nell’implementazione del modello

L’intelligence Economica ed il modello Defence of Small and Medium Companies: il ruolo degli incentivi nell’implementazione del modello

Il modello Defence of Small and Medium Companies©1 è nato per identificare, supportare e difendere le imprese su cui puntare in base alla loro capacità di crescita prospettica fondata su particolari tratti distintivi

da Capitale Intellettuale

Massimo Franchi Advisor, Consulente di management CMC e docente presso A.A.C. Business School, Direttore Capitale Intellettuale

Secondo l’Unione Europea possiamo classificare tre tipologie di SMEs, Small and Medium-sized Enterprises, in Italia conosciute come PMI:
• micro imprese, fino a 9 persone impiegate, con un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro;
• piccole imprese, dalle 10 alle 49 persone impiegate, con un fatturato dai 2 milioni di euro fino ai 10 milioni di euro;
• medie imprese, dalle 50 alle 250 persone impiegate, con fatturato dai 10 milioni di euro fino ai 43 milioni di euro.

Nel 2012 in Europa hanno operato quasi 20,3 milioni di PMI di cui 18,7 milioni – il 92,1 % di tutto il business Europeo – erano Micro imprese con meno di 10 dipendenti. Le Piccole (Small) imprese rappresentavano il 6,6% del totale, con 1,3 milioni, e le Medie (Medium) imprese solo 1,1 % del totale, con 0,2 milioni. Le SMEs, seppur di piccole dimensioni, rappresentano una delle maggiori opportunità di impiego nel settore privato con il 66,5% degli occupati, per oltre 86,8 milioni di lavoratori, e con il 57,6 % del GVA (Gross-value Added) prodotto.
Le grandi imprese (Large) erano 43.454, lo 0,2% del totale, ed hanno impiegato il 33,1% del personale e generato il 42,4% del GVA.2

Questi numeri rendono palese l’importanza della SMEs sia per l’Italia – con c.a. 3,7 milioni di imprese, 12 milioni di occupati e 422 mld di euro di GVA (Gross-value Added) prodotto3 – che per l’Europa, pur con importanti differenze in termini di economia reale e di prospettive di sviluppo.
Un dato positivo è stato il recupero da parte delle imprese – rispetto al periodo 2009-2010 – del valore aggiunto, mentre un dato negativo è stato la perdita di occupazione.

Defence of Small and Medium Companies
Il modello Defence of Small and Medium Companies (si veda Tabella 1 è nato partendo dal presupposto che in Italia oltre il 68% del valore aggiunto è generato dalle PMI contro il 32% generato dalle grandi (Large) imprese; questo dato imponeva, ed impone ancora oggi, che si operi una discriminazione e che si supporti, realmente e non solo a parole, le aziende che rappresentano, pur con le loro piccole dimensioni, punte di eccellenza.

La domanda centrale è: come possiamo identificarle e valutarle? Il modello ha trovato una risposta nella fonte del valore di queste imprese, cioè nei loro intangible asset.
Fatturato, numero dei dipendenti, margine, certificazione ISO, partecipazione a fiere, sono indicatori poco significativi della capacità di competere se non integrati con altre informazioni. Infatti, è fondamentale conoscere a quali clienti si vende nel mondo, sapere chi sono i partner/fornitori di tecnologia, elencare quanti brevetti sono stati depositati e su cosa, valutare a quali gruppi di studio mondiali si partecipa e se si sono ottenuti premi sull’innovazione nei paesi stranieri. E ancora, diventa interessante considerare le ore di formazione erogate al personale per monitorare la capacità di attirare talenti, capire se sono presenti piani strategici e studiarne il contenuto, valutare il top management e monitorarne i comportamenti. Molto spesso, da queste osservazioni può emergere che una PMI italiana, magari del fatturato di qualche milione di euro, è stata premiata da un Ministero straniero, oppure che è la prima fornitrice di un particolare componente per un importante costruttore americano o che nel piano strategico prevede di triplicare il fatturato, tramite un’acquisizione, divenendo l’organizzazione di riferimento per gli stakeholder di un territorio.
Il progetto Defence of Small and Medium Companies ha proposto agli organi statali deputati al controllo ed alla valutazione delle imprese da difendere e finanziare – parliamo delle Piccole e Medie imprese (si tratta di c.a. 200.000 aziende) in quanto i campioni nazionali Large sono già ben identificati e beneficiano di strutture informative autonome (si tratta di c.a. 3000 aziende) – un modello di valutazione integrata, e centralizzata, che punti a superare le lacune presenti nei normali documenti pubblici, ed obbligatori per legge, per cogliere le reali potenzialità di sviluppo dell’impresa e definire, soprattutto nei momenti di crisi, quale azienda è meritevole di sostegno e di protezione per l’alta capacità, prospettica, di generare valore complessivo, in Italia, negli anni futuri.
Il modello, nella sua idea originaria avrebbe consentito di ricercare la PMI potenziale “campione nazionale del domani”, in un sistema imprenditoriale come quello italiano in cui tale dimensione di azienda è storicamente preponderante con oltre dodici milioni di persone occupate.
Inoltre, il modello aveva ed ha ancora l’obiettivo di non disperdere risorse pubbliche e quindi denaro di tutti nel mare delle SMEs – si tratta di oltre 3,7 milioni di aziende, focalizzando l’attenzione solo sulle imprese Piccole e Medie, dai 10 ai 249 dipendenti per gli standard europei, ed escludendo a priori le Micro, con meno di 10 dipendenti – e di superare gli asettici elenchi redatti a tavolino di aziende considerate degne di protezione e supporto.
Il modello Defence of SMC esclude le Micro imprese, sotto i dieci dipendenti, sia per un aspetto dimensionale che organizzativo: si tratta, molto spesso, di realtà imprenditoriali con scarso utilizzo di tecnologia, pochi investimenti in ricerca e sviluppo, nessuna ossatura manageriale, poca propensione all’internazionalizzazione, presenza preponderante della famiglia nella forza lavoro e nessuno strumento di Governance. Le Micro imprese rappresentano comunque in Italia c.a. 3,5 milioni di aziende, il 94,4% del totale, impiegano 6,9 milioni di persone, il 46,6% del totale, e generano un (Gross-value Added) di 185 miliardi di euro.
Defence of Small and Medium Companies ancora oggi vuole generare un modello di intelligence economica che superi le pessimistiche considerazioni che vedono il sistema imprenditoriale italiano piegato alla globalizzazione, che spazzerà via le PMI in quanto la loro dimensione è poco significativa per la competizione in atto, andando invece a valorizzare le imprese che pur con organizzazioni ancora in fase di sviluppo rappresentano “cavalli da corsa” su cui puntare per ottenere un ritorno dell’investimento a beneficio di tutta la società italiana.
Fin dall’inizio il modello Defence of Small and Medium Companies ha previsto l’implementazione attraverso l’OSINT (Open Source INTelligence) e attraverso l’Intelligenza Artificiale. Le potenzialità e la flessibilità delle fonti aperte sono ormai sotto gli occhi di tutti: si tratta di informazioni del settore privato che possono aiutare a reperire dati in paesi in via di sviluppo o “non coperti”, in organizzazioni non governative e nel mare di Internet. Anche l’OSINT prevede il processo di selezione, analisi e presentazione del materiale informativo in tempi rapidi.
La bontà dell’OSINT, utilizzato massicciamente dalle aziende multinazionali, sta nel fatto che le informazioni sono ottenute con mezzi etici e legali, dunque facilmente fruibili e condivisibili nel quotidiano. L’OSINT permette di conoscere chi possiede la conoscenza e di sapere dove cercare; non si tratta di semplici articoli di giornale o di pezzi presi da Internet ma di fonti associate, di un metasistema complesso la cui mappa deve essere conosciuta dai produttori e dagli utenti di Intelligence. Un metasistema con costi competitivi le cui risposte dovrebbero essere fornite al più basso costo possibile.
Come può lo Stato implementare un modello del genere in modo tale che sia prevista la partecipazione attiva delle imprese a difesa del benessere sociale italiano?
Sicuramente l’impiego degli incentivi specifici (si veda Tabella 2 – informativi, sul capitale, sul lavoro, sulla produzione, come stimolo agli investimenti, sulla ricerca e lo sviluppo, sul risparmio energetico, ecc. – può contribuire a creare una relazione tra Stato ed imprese che perduri nel tempo, nella logica win-win. Infatti, la teoria economia assume che i soggetti siano razionali e che le loro azioni siano sensibili agli stimoli economici: sia lo Stato che le imprese hanno bisogno di informazioni, operando in un ambiente incerto e ricco di asimmetrie informative.

Gli imprenditori creano aziende per rivenderle quando andranno in pensione o per passarle agli eredi: entrambi gli aspetti rappresentano incentivi per mantenere forte la reputazione dell’impresa nel tempo. I dirigenti pubblici, che gestiscono ingenti risorse economiche, non hanno modo di impossessarsi dell’incremento di valore generato dalla loro attività e stentano a comprendere l’importanza degli incentivi, se non di tipo salariale o di scambio di favori4.
La diffusa opinione che vede le imprese pubbliche sempre e comunque meno efficienti di quelle private pare essere una generalizzazione, anche se in Italia ci sono molti esempi di inefficienza pubblica5. Lo Stato tramite la regolamentazione e le multe può controllare i mercati, pianificando una grande quantità di informazioni, ed è l’unica organizzazione che ha il diritto di imporre le tasse con tendenze monopolistiche nella gestione diretta delle attività economiche. Il gettito fiscale diventa però nullo se il tessuto imprenditoriale scompare. L’implementazione del modello Defence of Small and Medium Companies non prevede che lo Stato diventi monopolista nella gestione del patrimonio informativo delle imprese, ma che operi da “regista” sostenendo, attraverso sistemi di intelligenza artificiale che attingono al mare delle fonti aperte, le imprese potenzialmente interessanti per il paese nella logica della Triple Bottom Line. Se gli incentivi saranno corretti le imprese collaboreranno, senza temere di essere controllate, ma semplicemente confrontando il maggiore reddito che potrebbero guadagnare riducendo i tempi di attesa delle scelte strategiche e migliorando la percentuale di successo del loro business. Oggi lo Stato non è perfettamente informato, ma anche le imprese non lo sono rispetto ai loro mercati globali. Di fronte alle dimensioni globali Stato ed imprese non possono operare separatamente: entrambi sono destinati all’insuccesso. Lo Stato dovrà necessariamente separare l’attività informativa destinata alle politiche fiscali da quella destinata al supporto strategico di “alcune tipologie di aziende”. La strategia è il piano complessivo per lo spiegamento di risorse necessarie a stabilire una posizione di vantaggio.
Pensare alla posizione di un’impresa secondo il modello delle cinque forze competitive di Porter è oggi limitato in quanto le imprese sono supportate direttamente o indirettamente dagli Stati, che diventano attori, in un mondo che non è non statico ma estremamente dinamico. Nei fattori critici di successo possiamo comprendere l’importanza della superiorità informativa – che ben conoscono gli americani, gli inglesi, i francesi, i tedeschi, ecc. – che per un paese come l’Italia con milioni di Micro e Piccole imprese rappresenta un punto di debolezza. Ricordiamo che l’art. 87 ex art. 92 del Trattato CE indica che gli aiuti di Stato, non gli incentivi, devono rispettare le regole comunitarie in materia di libera concorrenza: “salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili col mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.
Il Trattato prevede però quattro categorie di aiuti compatibili con il mercato comune:
• quelli destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni dove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure nelle quali si registri una grave forma di sottoccupazione;
• gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di interesse comune europeo, oppure a porre rimedio ad un grave turbamento dell’economia dello Stato;
• gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse;
• le altre categorie di aiuti, determinate con decisioni del Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta del Consiglio.
Tali spazi di manovra previsti dal Trattato sono in realtà stati superati, o interpretati a proprio vantaggio, dai principali paesi fondatori, Germania e Francia, attraverso politiche di supporto informativo, riservate e non ufficiali, alle proprie imprese in concorrenza anche con quelle Europee. L’Italia, soprattutto in alcune regioni, sta vivendo da anni una situazione molto assimilabile a quanto previsto dalla compatibilità per la quale potrebbe impiegare aiuti ufficiali. Secondo il modello Defence of Small and Medium Companies sarebbero però auspicabili anche incentivi specifici e riservati con l’obiettivo ultimo di mantenere il benessere e la pace sociale nel nostro paese e di creare quel metasistema informativo, su basi scientifiche e competitive, a supporto del reale Made in Italy. ■

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ANNO 5 N.3


  • 1 Il modello Defence of Small and Medium Companies © è stato presentato, negli anni 2010/2011/2012, in diversi articoli di Massimo Franchi pubblicati nella rivista Capitale Intellettuale, www.capitale-intellettuale. it. Il nome è distintivo rispetto allo SMEs della UE in quanto focalizza il progetto sulla piccola e media impresa italiana.
  • 2 Annual Report on EU SMEs 2013.
  • 3 2013 SBA Fact Sheet Italy
  • 4 Il ruolo economico dello Stato, Joseph E.Stiglitz, Il Mulino.
  • 5 Lo Studio del commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli, che ha misurato il Roe di 5.264 società di enti locali ha indicato che sono 1.424 le società pubbliche, con partecipazioni degli enti locali, con conti in rosso e redditività sotto lo zero, agosto 2014.

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