Casa INTERVISTA I musei del cibo della provincia di Parma strumento di marketing per il territorio

I musei del cibo della provincia di Parma strumento di marketing per il territorio

Intervista a Giancarlo Gonizzi, Coordinatore dei Musei del Cibo, appassionato e poliedrico cultore della materia

da Capitale Intellettuale

Bianca Frondoni –  Senior Consultant settore Comunicazione

Giancarlo Gonizzi, una vita per la storia del cibo e dell’industria alimentare.

 

  • Parliamo dei Musei del Cibo: dal 2000 al 2004 hai partecipato al gruppo di lavoro per istituirli promosso dalla Provincia di Parma; poi ti hanno chiamato dal 2008 come Coordinatore. Come nasce il progetto di realizzare un così numeroso e articolato network di Musei del Cibo sul territorio?

Nacque nel ’99 per iniziativa di Albino Ivardi Ganapini, all’epoca assessore provinciale all’agricoltura e alle attività produttive durante la presidenza di Andrea Borri, che nello stesso periodo si fece promotore di Alma, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana di Colorno. Il primo Museo del circuito, quello del Parmigiano-Reggiano a Soragna, venne inaugurato il 29 novembre 2003. In seguito aprirono il Museo del Prosciutto di Parma a Langhirano nel maggio 2004 e quello del Salame di Felino nell’ottobre 2004. Il progetto è unitario e complessivo ma ci sono state due fasi di finanziamenti europei e quindi gli ultimi musei sono stati aperti dopo qualche anno: nel settembre 2010 il Museo del Pomodoro a Giarola e nel maggio del 2014 il Museo della Pasta (sempre a Giarola) e quello del Vino (a Sala Baganza). In totale sono stati erogati circa 4 milioni di euro con importi diversi da sede a sede, che hanno permesso di ristrutturare l’ala della Corte di Giarola, che ospita il Museo del Pomodoro e quello della Pasta, o di recuperare le cantine della Rocca di Sala Baganza, il caseificio storico di Soragna e il Foro Boario di Langhirano. Il Museo del Salame si aggiunse in un secondo momento su richiesta del Comune di Felino, anche a sostegno della richiesta dell’IGP.

  • È difficile dire qualcosa di originale in un ambito così forte ma inevitabilmente anche “sfruttato” come quello del food nella zona di Parma? Come ci siete riusciti, se ci siete riusciti?

Altrove qualcuno ha pensato di prendere le tipicità italiane e trasformarle in un “luna park” tematico inscatolandole in un padiglione fieristico e sradicandole dal loro territorio: questo è, a mio parere, un limite strutturale e un intervento strumentale che finisce col banalizzare e danneggiare l’immagine dell’agroalimentare italiano.

Parma invece potrebbe rilanciare la propria filosofia specifica, messa a punto già agli inizi del 2000, con un fortissimo radicamento tra prodotti e territorio. Non è scontato, soprattutto non lo era 19 anni fa. Vennero fatte alcune scelte: ad esempio distribuire i Musei, luoghi simbolo dei prodotti tipici, sul territorio e non in città. È chiaro che è più facile visitare un “Colosseo” che non 6 piccoli insediamenti distribuiti nello spazio di chilometri… però è stata una chiarissima scelta di campo: il prodotto non vale solo per sé stesso ma per connettere anche a cascata altre realtà ed altri valori.

Uno per tutti: le trasformazioni del paesaggio. Dove si produce il Parmigiano “spuntano” tanti prati di erba verde. In Veneto è prevalente il mais e il paesaggio è diverso. Quello che noi mangiamo “produce” un territorio diverso: se andiamo a vedere il territorio parmense, ci rendiamo conto di come i nostri prodotti abbiano salvaguardato il nostro terroir. Lungo il tragitto da Parma a Langhirano, tra un abitato e l’altro, costeggiamo campi di erba medica, di pomodori, vigneti… I prodotti tipici hanno aiutato a conservare un determinato territorio.

Trasformare quel paesaggio in un prodotto turistico è una sfida. Anche le aziende di trasformazione possono divenire oggetto turistico. Sono luoghi magici dove con la sapienza e l’esperienza di generazioni si è arrivati a fornire a tante persone ottimi prodotti. Non viviamo in una zona desertificata, ma verde e fertile perché quei prodotti sono sostenibili dal punto di vista ambientale. E interessanti dal punto di vista paesistico.

  • Che cosa significa davvero marketing territoriale per i Musei del Cibo? Avete fatti degli accordi di Incoming o coi servizi di autotrasporto della provincia?

Il prodotto turistico alimentare nel Parmense ha preso piede parallelamente alla nascita dei Musei; non ci sono ancora i numeri sufficienti per creare servizi di trasporto turistico dedicati. Esiste però qualche proposta interessante di alcuni Tour operator. I Musei nascono in una logica di complementarietà col territorio e anche il viaggio dunque è un ingrediente importante e non va vissuto secondo la mera logica del trasferimento, ma come parte integrante dell’esperienza. È unica l’esperienza di partire dalla Bassa, a Soragna, passando da Fontanellato e Fontevivo, percorrendo poi la via Emilia e attraversare il ponte sul fiume Taro per poi girare a destra verso Vicofertile e i mulini del canale Naviglio Taro (Figna), sfiorare Collecchio per arrivare alla Corte di Giarola e da qui, passando per la strada dei Boschi di Carrega, terminare la propria corsa alla Rocca di Sala. Facendo percorsi lenti e con le giuste spiegazioni il turista si rende conto del territorio che attraversa: luoghi unici come la Valle dello Scodogna e Talignano. Inevitabilmente non si riesce a fare tutto in un giorno: dopo Sala Baganza si raggiunge Felino e da qui attraverso vallette di rara bellezza al castello di Torrechiara per approdare infine a Langhirano. Se lo vedo dall’alto anche Langhirano è quasi poetico, colla disposizione di tutti i prosciuttifici perpendicolari al torrente, per prendere il vento che arriva dal mare. Si nota anche la trasformazione tra la pianura bassa a nord e la pianura alta a sud della Via Emilia, la prima collina e poi la montagna con gli ultimi prosciuttifici sopra Langhirano.

Per non restare vittime del modello “luna park” bisogna promuovere cibo e territorio congiuntamente; così il prodotto diviene souvenir del viaggio e memoria di un’esperienza. Oggi il viaggiatore può acquistare i prodotti del territorio al Museo del Prosciutto, al Museo del Vino e al Museo del Parmigiano. A breve questo servizio sarà possibile anche alla Corte di Giarola.

Uno strumento che abbiamo pensato per far tornare più volte il visitatore sul territorio è la “Musei del Cibo Card” valida un anno solare: con soli 12 euro si possono visitare tutti e sei i musei e avere sconti nei ristoranti collegati a Langhirano, Sala Baganza e Giarola. Grazie ad un finanziamento della regione Emilia Romagna è stato anche possibile collegare tutti i musei in rete e attivare le biglietterie elettroniche. Così dal 1 marzo è possibile prenotare le visite online da qualunque luogo.

  • Ci sono più strategie e caratteristiche in comune tra i musei o maggiori peculiarità e differenze?

Il circuito museale è nato da un’unica strategia per valorizzare i differenti prodotti dello stesso territorio. Quando vai a raccontare la storia del vino non racconti quella del pomodoro ma chi visita i musei scopre che le storie dei vari prodotti sono tra loro strettamente connesse: con gli scarti del Parmigiano si alimentavano i maiali; il crollo del prezzo del grano, nell’Ottocento, ha stimolato la coltivazione del pomodoro; l’industria alimentare ha favorito la specializzazione dell’industria meccanica…

  • Quale è il progetto di cui sei più orgoglioso in questi anni? Consigliate una sequenza e un percorso particolare nella visita ai musei?

Tutti! Ci sono gli stessi passaggi e modalità, un unico paradigma: una spiegazione semplice e appassionante di come nasce e da dove deriva (dai bisogni e dal territorio) il prodotto – come fa il latte a diventare formaggio o un chicco di grano a diventare spaghetto… Il Museo risponde e ti racconta tutto, dalla materia prima (botanica o zoologia), a come si va a coltivare o allevare, a come si fa a trasformare nel prodotto finale. È un percorso declinato in tutti i musei. Poi si parla del confezionamento e si trovano le aree dedicate alla gastronomia e all’arte. Vi è anche spazio per approfondimenti curiosi, come le storie degli attrezzi da cucina legati ai singoli prodotti: la grattugia al Museo del Parmigiano, l’apriscatole in quello del Pomodoro, lo scolapasta in quello della Pasta. Il Museo è un mondo che apre al visitatore tante scatole e tante porte.

  • Cosa fai tu quando senti parlare di cultura? Qui mi sembra venire l’acquolina in bocca in quanto c’è un collegamento col sottotitolo della nostra rivista.

Tutte le imprese sono legate alla cultura del fare e dovrebbero cogliere le grandi potenzialità che questo ambito ha per sé stesse. La cultura del prodotto, diffusa dagli strumenti turistici e istituzionali, serve a far aumentare il valore percepito per il “brand” di quell’area geografica. Il mio messaggio dunque è: continuiamo a esportare i nostri prodotti tipici alimentari in giro per il mondo, ma assieme al nome di Parma, come hanno intelligentemente fatto in Trentino col loro marchio su tutte le mele, sullo speck e sui souvenir per i turisti. Il turismo vive di territori ed esperienze e a Parma c’è un territorio unico da esplorare. E ricordiamo che la cultura è la nostra identità, che ci rende unici e interessanti. Ma anche il cibo parla della nostra identità al mondo.

  • Cosa vedi nel futuro dei Musei del Cibo?

Sogno un territorio che sappia valorizzare pienamente sé stesso, in tutte le sue potenzialità, attraverso il gioco di squadra, dove le intelligenze lavorano per il bene dell’intera comunità. Non è l’utopia di un sognatore, ma la consapevolezza che senza un lavoro comune, la sfida fra territori si perde.

image @i Musei del Cibo

ANNO 9 N.1

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