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Minardi Formula 1 una storia di vera passione

Intervista a ruota libera di Armando Caroli a Gian Carlo Minardi

da Capitale Intellettuale
Armando Caroli

Armando Caroli

  • Caro Gian Carlo, come è nata l’esperienza in Formula Uno con la Scuderia Minardi?

È nata per caso. Tutto è iniziato nel 1972 con la mia attività di concessionaria FIAT, che mi portava anche a contatto con il mondo delle auto storiche con le quali facevamo incontri, passeggiate e raduni.

In quell’anno mi fu chiesto di gestire l’allora Scuderia del Passatore a Lugo di Romagna, che non stava ottenendo in Formula Italia i risultati attesi dai finanziatori, e io accettai di dare assistenza e lavoro per migliorare la sua competitività. Da lì è cominciata la mia avventura.

Dal 1972 al 1979 mi sono mosso nel mercato per acquistare le macchine da corsa migliori da mettere in pista in Formula Italia e in Formula 3, e dal 1974 al 1979 addirittura anche in Formula 2, che allora era l’anticamera della Formula 1.

A un certo punto ci siamo accorti che le macchine che acquisivamo venivano modificate talmente tanto che praticamente saremmo potuti diventare noi stessi costruttori, e così, nel dicembre 1979, è nato il Team Minardi F1 S.r.l.

Dopo l’approvazione sia di ACI che della FIA e avere superato tutti i controlli previsti per un nuovo costruttore, nel 1980 abbiamo debuttato con la prima macchina costruita appositamente per la Formula 2.

Gian Carlo Minardi

Nel 1984 siamo arrivati nella Formula 1 in modo un po’ strano: nell’anno precedente ci eravamo accorti che forse eravamo troppo piccoli per entrare nella massima categoria, ma che sicuramente eravamo troppo grandi per fare solo due macchine per la Formula 2, così nel 1985 ci siamo lanciati e abbiamo debuttato in Formula 1.

L’avventura nel circus fu supportata tra l’altro da sponsor e amici romagnoli appassionati che hanno creduto nel “sogno”, che poi è andato avanti per ben ventun anni.

All’inizio la Scuderia Minardi non poteva certo essere paragonata come dimensione alle altre di Formula 1 più blasonate, e men che meno alle strutture che hanno oggi, così ideammo dei piani di sviluppo e nel 1984 iniziammo i lavori per la costruzione dei nuovi capannoni.

Siamo partiti da un piccolo fabbricato, dove costruivamo solo le vetture di Formula 2, per arrivare ad una struttura di 3000 metri quadri nella quale venivano prodotti l’ottantacinque percento dei pezzi di produzione sia meccanica che di carbonio: allargarci era diventato fondamentale per continuare.

Questa struttura ancora oggi fa parte della Scuderia Alpha Tauri che, dopo il passaggio a Red Bull, è stata ovviamente allargata come dimensione, ma sempre nelle immediate vicinanze.

Nella nostra storia una cosa che ancora oggi mi domando è se abbiamo fatto bene a non affiancare alla produzione dei veicoli da corsa anche quella delle auto commerciali per il mercato privato, come, invece, hanno fatto Ferrari, Dallara e altri, per sfruttare la sinergia commerciale e finanziaria. Di certo questo avrebbe significato un ulteriore ampliamento degli stabilimenti e della quantità di personale tecnico specializzato, e, forse, non saremmo riusciti a crescere a sufficienza su più fronti con le risorse disponibili.

  • Quando sei partito quante persone e tecnici avevi nel team?

All’inizio c’erano due ingegneri, tra i quali Luigi Marmiroli e Giacomo Caliri, che erano usciti dalla Ferrari e che erano anche i miei soci nel Team. Poi avevamo due disegnatori e solo 12 meccanici, tra quelli che andavano in pista e quelli che costruivano i pezzi.

Ovviamente siamo cresciuti rapidamente, fino a 70 dipendenti nel breve tempo per diventare poi 130 nella dimensione massima, con 5 ingegneri, una decina fra disegnatori e aerodinamici.

Patto della Concordia, 1992

L’elettronica era molto limitata rispetto a quello che vediamo oggi, ma già dalla stagione 1993-1994 avevamo cominciato a vivere il suo inserimento con il cambio automatico, le centraline e la rilevazione delle telemetrie.

Per fare un paragone dimensione/tempo, all’Alpha Tauri oggi a Faenza ci sono 500 persone, 250 sono ingegneri, e 130 in Inghilterra dove c’è la galleria del vento. Questo è il risultato dell’evoluzione tecnologica e costruttiva, soprattutto di quella elettronica: una vettura di Formula 1 odierna ha minimo 5 centraline, e ognuna viene gestita da almeno due ingegneri. È un mondo molto diverso e un’altra era tecnologica rispetto a quello che ho vissuto io!

Comunque, è stata un’avventura meravigliosa, permessa dagli sponsor e dalla determinazione che ogni componente del Team ha “messo in pista”. Guardando tutta la storia, devo dire che sono orgoglioso anche di averla conclusa nel modo più adeguato, quando non potevamo più sostenerla, con una cessione al valore di solo 1 $ che ha permesso di garantire la continuità lavorativa a 130 famiglie, il salvataggio della Scuderia e il mantenimento della sede nella città di Faenza, in Emilia-Romagna, che a livello mondiale è conosciuta col nome di Motor Valley.

  • C’è un detto romagnolo che cita “donne e motori, gioie e dolori”. Nella Scuderia hai avuto persone che Ti hanno seguito sempre: è merito di una passione condivisa?

Si, oltre al presidente della società e l’imprenditore ho sempre cercato di fare il Buon Padre di Famiglia: io vivevo dalle 7 della mattina alle 21 nel Team insieme alla squadra, e alcuni obiettivi li dobbiamo raggiunti perché fra noi c’era grande comunanza d’intenti e coesione, nonostante la piccola dimensione rispetto ai competitori.

Certo, allora come ora, se un componente della squadra non avesse avuto veramente tanta passione per il proprio lavoro non sarebbe riuscito a resistere ai ritmi chiesti dalle competizioni.

Se pensiamo al Campionato 2023-2024 che prevede addirittura 24 gare con una media di 5 giorni di trasferta, è facile calcolare quanti giorni un meccanico, un ingegnere o un tecnico passano al lavoro in giro per il mondo, con problematiche di carattere familiare e di vita privata da affrontare.

Molte delle persone che hanno fatto la storia della Scuderia Minardi stanno cominciando ad andare in pensione adesso, e non posso che ringraziarli col cuore di avere vissuto insieme con grande trasporto tutta l’avventura nella Formula 1.

  • Hai parlato di leadership e di condivisione dei valori per riuscire a ottenere dei risultati, perché non sempre si vince, vero?

No, no, anzi purtroppo non abbiamo mai vinto, e la lotta principale era battere noi stessi, continuare a migliorarci sia dal lato costruttivo che dal lato dell’innovazione, perché in molti casi gli ingegneri del team hanno portato in pista tecnologie e sistemi totalmente nuovi che poi altri hanno sviluppato. Le altre scuderie erano economicamente più forti di noi, ma abbiamo avuto la soddisfazione che in molte occasioni sono state loro a copiare quello che noi piccolini riuscivamo a produrre.

Proprio questa notevole emancipazione della Ricerca e Sviluppo è stata la nostra fortuna: abbiamo potuto fare l’operazione di cessione della scuderia a un gruppo importante come il Red Bull Team F1 perché la sfida incredibile che avevamo ingaggiato con i colossi del mondo dell’automobilismo mondiale ci vedeva tecnologicamente al passo con loro!

  • Tra le innovazioni c’è qualcosa che la Scuderia Minardi ha realizzato per prima in Formula 1?

Alcune innovazioni hanno fatto la storia dell’automobilismo, come ad esempio il cambio in titanio, poi siamo stati i primi ad adottare le sospensioni senza ammortizzatori e a costruire in Italia una scocca in carbonio, mentre gli altri andavano in Inghilterra a progettare e produrre, Ferrari compresa, e il porta-mozzo, che ottenevamo dal pieno in titanio!

Tutto questo per noi era uno sforzo innovativo sinceramente notevole. Eravamo degli “apripista” con le nostre invenzioni, poi i tecnici delle altre scuderie le studiavano, le copiavano e le perfezionavano: avevano mezzi tecnologici e finanziari a disposizione superiori ai nostri per l’innovazione.

  • Nella Formula 1 degli anni d’oro, quando i piloti correvano per passione, c’era coesione e solidarietà fra le squadre o solo competizione?

Direi che tra le squadre più che altro c’era competizione. Onestamente non ho mai avuto rapporti di collaborazione. Puntualmente si tenevano solo incontri sulla sicurezza e sullo sviluppo della Formula 1, le riunioni “F.1 Commission”, che ancora oggi si fanno, ma in pista raramente ci incontravamo e scambiavamo opinioni, eravamo competitors. Anzi, al contrario della collaborazione, la nostra scuderia è stata saccheggiata più volte dei tecnici migliori!

Per quanto riguarda la situazione tra i piloti ho sempre visto che il primo avversario era il compagno di squadra, e questo ancora adesso crea una competizione nella competizione.

  • Nella Scuderia Minardi hai inserito dei piloti giovani che sono poi diventati campioni. Come ci sei riuscito?

Io sono sempre andato, fin da quando correvamo in Formula 2, a vedere nei momenti liberi anche le formule minori e ho continuato anche quando eravamo in Formula 1. Ogni fine anno era abitudine fare due giornate di test privati con i migliori piloti che avevamo visto; allora era possibile farlo, mentre oggi, purtroppo, i test sono contingentati.

Da queste prove ci siamo “portati a casa” parecchi piloti giovani, come Pierluigi Martini e Alessandro Nannini, che hanno fatto parte della mia storia fin dall’inizio e nella Formula 2, poi negli anni successivi Gianni Morbidelli, Gian Carlo Fisichella, Jarno Trulli, Fernando Alonso, Mark Webber e Luca Badoer.

Misano 1981, Michele Alboreto

Sono tutti piloti usciti dagli stage o da valutazioni nelle corse di altre categorie, che ingaggiavamo per portarli fino alla Formula 1. Facevo loro sottoscrivere dei contratti vincolanti che poi, più come un Buon Padre di Famiglia che come Team Manager, in molte occasioni ho sciolto nell’interesse proprio del pilota.

Anche su questo, a distanza di tempo, mi sono chiesto se le scelte sono state opportune: per i piloti sicuramente si, per la scuderia forse. Ma questo era lo spirito che mi animava nei rapporti umani, e sono rimasto assolutamente coerente con me stesso!

In un solo caso ho ceduto onerosamente un pilota, è stato Fernando Alonso alla Benetton di Flavio Briatore per un milione di dollari. L’ho fatto solo perché eravamo in un momento particolare ed entrambi sapevamo che la Scuderia aveva bisogno di monetizzare per essere pronta alla cessione. Per fare un paragone, nello stesso anno la Sauber ha venduto Kimi Raikkonen alla Scuderia McLaren di Ron Dennis per 23 milioni di dollari!

Al giorno d’oggi le scuderie a volte si prestano o si scambiano piloti per gare o intere stagioni, magari per fare esperienza, ma la cessione senza addebitare “il cartellino” non esiste più. Oggi tutti i contratti sono depositati a Ginevra presso un notaio e gli accordi economici e i vincoli vengono sottoscritti in modo ufficiale.

  • Quando analizzavi i piloti delle formule minori quali elementi cercavi per capire se erano potenziali campioni?

Vedi, sono sensazioni soggettive molto difficili da raccontare. Posso dire che, fin dall’inizio, una delle componenti che seguivo da vicino, al di là del responso del cronometro in pista, era guardare nel paddock come il giovane pilota si rapportava con le altre persone della scuderia e facevo tutta una serie di considerazioni.

È innegabile che le prestazioni hanno un grandissimo peso nella valutazione, ma ci sono anche altri elementi che percepisco. Come Scuola Federale ACISPORT, anche adesso, se io valuto un pilota di 12 – 13 anni non riesco a dirti esattamente cosa mi colpisca nelle sue caratteristiche, molto spesso la mia mente elabora un mix di esperienza e di intuito per identificare un talento in pectore.

È una capacità che fortunatamente sono riuscito a passare a mio figlio, che è diventato molto bravo e va nei circuiti ad analizzare quali piloti potrebbero crescere come “campioncini”.

C’è da dire che la valutazione nel tempo è cambiata, oggi si fanno sessioni cicliche di stage con la presenza anche dello psicologo, per verificare l’andamento della crescita in rapporto allo stress e alla resilienza, e questo aiuta a determinare la tenuta prospettica dei ragazzi nel mondo delle competizioni, che è molto orientato ad accelerare tutte le fasi di carriera.

Vorrei ricordare, a proposito della salute, che fin dal 1990 sono stato uno dei primi Team Manager a inserire un medico che seguiva la squadra per assistere i piloti e i meccanici. Questo dottore si chiama Riccardo Ceccarelli, che ringrazio col cuore per le attività fatte insieme.

Adesso praticamente tutti i team dispongono di uno staff medico di supporto, ma allora c’erano pochi mezzi e solo qualche aiuto dall’università e con lui abbiamo avviato un percorso di assistenza e sviluppo che possiamo considerare d’avanguardia.

Riccardo ha sviluppato dei sistemi molto avanzati con l’aiuto della tecnologia nella medicina e della psicologia, per cui chi partecipa oggi ai suoi corsi di sviluppo competitivo riesce a ottenere risultati molto più proficui rispetto al passato, quando non erano state ancora definite molte delle metodiche oggi utilizzate.

Pensa che la mia seconda passione è il calcio, che ho praticato da giovanissimo, e un mio sogno sarebbe stato quello di fare anche nelle nostre zone una struttura come Milanello, con psicologi per assistere i bambini che vengono inseriti a 10-11 anni nelle squadre dei “pulcini”, per farli diventare progressivamente ragazzi vincenti, uomini e campioni. E non solo per ottenere i migliori risultati sportivi a quell’età e da adulti, ma anche per prepararli a quanto segue il momento dell’apice sportivo, cioè la “vita normale”.

Nello sport dei motori si comincia presto a comprendere se una passione può diventare lavoro con l’esperienza, così è stato creato il Summer Car per bambini dai 6 ai 10 anni, al quale seguono le selezioni per chi ha più di 12 anni e organizziamo anche da 2 a 4 stage all’anno con i piloti che riteniamo più meritevoli. Gli stage prevedono solo incontri psicofisici e l’utilizzo del simulatore di guida.

Quello della valutazione nella crescita è un lavoro molto lungo e che richiede grande attenzione: molti ragazzi si avvicinano a questo sport perché sponsorizzati dal padre o dal nonno che, magari, per vari motivi, in gioventù non hanno ottenuto risultati di rilievo, mentre adesso, invece, dispongono di mezzi per spingerli alla carriera di pilota.

Il nostro compito è capire a fondo se il ragazzo lo fa per compiacere la famiglia o se è autonomamente convinto che il mondo delle corse, con tutte le sue sfide, è esattamente la sua passione.

Lo sport automobilistico è più impegnativo di quanto si possa pensare. Un pilota deve avere grande concentrazione e una mentalità sempre competitiva, ma specialmente un fisico molto allenato, per lo stress causato dalle spinte nelle accelerazioni/decelerazioni e nelle curve ad alta velocità.

In un Gran Premio di Formula 1 ogni pilota necessita di almeno un giorno di riposo per poter tornare in macchina. Le sollecitazioni sono fortissime e ha bisogno tassativamente di un recupero anche mentale, oltre che fisico, e per abituarsi a questo serve una preparazione faticosa, da iniziare fin da bambino con uno stile di vita che prevede dei sacrifici che sono difficilmente accettabili poi da adolescente e specialmente da adulto.

Un esempio molto pratico lo abbiamo avuto con Nico Rosberg che a 32 anni, dopo aver corso praticamente per 25 anni consecutivi e vinto il Campionato del Mondo Piloti nel 2016, ha detto ufficialmente “Basta, ho raggiunto il mio obiettivo, la mia testa e il mio fisico hanno bisogno di fare altro!”.

Un esempio di pilota che, invece, ha mantenuto la passione, è Fernando Alonso che ha cominciato a 7 anni con i kart, oggi ha 41 anni, 2 titoli mondiali piloti nel 2005-2006 e vittorie a Le Mans e Daytona, ed è ancora nelle gare di massimo livello e “dà la pelle”, come si dice in Romagna, si impegna come un giovane.

Lui è un esempio per le nuove generazioni nello sport motoristico, è stato un ragazzino venuto dal nulla, col babbo che faceva lo sminatore ed è cresciuto solo per le sue qualità: all’inizio ha dovuto dimostrare di avere delle capacità superiori rispetto a tutti gli altri, e quando l’ho scoperto neanche diciottenne l’ho messo subito sotto contratto!

Mi aveva molto colpito per la determinazione e la coerenza che poneva nell’affrontare tutti i problemi, e non è cambiato per nulla, l’ho visto una ventina di giorni fa, è ancora così. D’accordo, è un po’ invecchiato, ma è ancora mentalmente e fisicamente un giovane e prova ancora gli stessi stimoli, è incredibile.

Sono sicuro che Fernando si sia fermato a due titoli piloti mondiali esclusivamente per scelte sbagliate, altrimenti avrebbe un palmares molto più pieno; per me è uno dei migliori piloti del nostro tempo.

  • Oltre che per le scuderie italiane, dopo il finale del Mondiale 2021 ad Abu Dhabi ad opera di Michael Masi, ho cominciato a parteggiare anche per Lewis Hamilton. Indiscutibilmente è stato oggetto di una scorrettezza da parte della direzione di gara, Tu cosa ne pensi?

Lo sport è fatto anche di errori, purtroppo.

Alcuni addirittura possono far perdere anche un Campionato Mondiale, come è successo a Felipe Massa a Singapore nel 2008, quando è partito col manicotto del rifornimento ancora attaccato, o a Eddie Irvine nel 1999 al pit stop, con una gomma sparita nel box, ma mi ricordo anche di gomme sbagliate o addirittura bulloni non avvitati. Gli errori li possono commettere tutti, nessuno escluso, ma la cosa fondamentale è apprendere una lezione da mai più dimenticare nel futuro, così da non ripeterli.

Detto questo, l’errore di Masi come Direttore di Gara è stato molto grosso, criminalizzato oltre il dovuto e non aiutato dalla Federazione, forse per quanto in palio in quella gara. A Hamilton è stato tolto l’ottavo titolo mondiale, che aveva praticamente già vinto a un giro dalla fine, per consegnarlo al suo competitor Max Verstappen della Red Bull, avviando di fatto un ciclo che poi lo ha portato a vincerne anche un secondo nel 2022.

  • Cosa ne pensi dei doppi team, principale e junior?

Secondo me in molti casi è corretto. Ad esempio, io avevo chiesto più volte alla Ferrari di far diventare la Scuderia Minardi come la propria junior. Negli anni 2000 – 2001 sembrava che l’avvocato Montezemolo prendesse in considerazione questa opportunità, ma poi Jean Todt non volle e non se ne fece nulla.

Anzi, se devo dire la verità, Ferrari ha ingaggiato nostri validi ingegneri per portarli a Maranello, e ha cercato anche di reclutare sia Fisichella che Alonso, ma i contratti erano talmente blindati che, fortunatamente, non sono riusciti nell’intento.

La nostra Scuderia in quegli anni era una fucina di talenti fra ingegneri, tecnici e meccanici, e da noi c’erano personaggi come Aldo Costa e anche Simone Resta, che attualmente è nel Team Haas, satellite della Ferrari.

In particolare, Aldo Costa mi era stato segnalato dal Rettore dell’Università di Bologna, e nel 1988, fresco di laurea, ha ricevuto da me carta bianca col compito di costruire una macchina da corsa, ed è diventato poi uno degli ingegneri più vincenti prima in Ferrari, poi in Mercedes, e oggi è il Direttore Tecnico in Dallara. Anche l’ingegner Gabriele Tredozi iniziò la carriera in Minardi partendo dalla laurea, mentre altri addirittura da uno stage fatto presso di noi o da una tesi ritenuta particolarmente valida.

Nelle Scuderie di Formula 1 odierne questo accesso ad alto livello di ingegneri con poca o nulla esperienza non è più neanche considerato.

Ricordo, tra le altre cose, che la Magneti Marelli che era il nostro fornitore di elettronica e collaudava con noi nuove centraline, così potevamo testare alcune evoluzioni che venivano date solo successivamente alle squadre principali.

La sperimentazione per noi, piccolo team, era fonte di studio continuo, per adattare i vari sistemi e rendere la macchina sempre più competitiva, come dicevo prima, e migliorare le prestazioni giorno dopo giorno con l’aiuto della crescente competenza dei nostri giovani ingegneri. Un laboratorio di cervelli mosso dalla passione!

Imola, 2022, Historic Minardi Day

Per tornare alle scuderie junior, alcuni esperimenti con parti nuove nei propulsori o nell’aerodinamica, negli ultimi anni sovente le squadre principali li fanno fare ai team satelliti.

Red Bull e Alpha Tauri hanno la stessa proprietà, però sono due realtà ben precise e diversamente localizzate; si tirano una con l’altra la volata tecnologica ma, spesso, utilizzano strategie diverse per verificare la validità delle soluzioni adottate.

Un altro discorso, invece, è quello dei regolamenti, nei quali non sono assolutamente possibili smaccati aiuti fra le squadre con la stessa proprietà e sono previste pene molto pesanti dal regolamento in caso di violazione.

In ultimo vorrei rilevare che, al momento, sono iscritte solo 10 scuderie al Campionato Mondiale di Formula 1, anche se il Regolamento indica in 12 il numero massimo, per una reale difficolta di accesso al circus: all’iscrizione ci sono subito importanti garanzie finanziarie da prestare, poi costi altissimi per la gestione della scuderia, per la sede, per i piloti, per la ricerca e lo sviluppo, le prove aerodinamiche, la gestione elettronica e per le trasferte.

  • Adesso sei Presidente della società che gestisce quell’Autodromo di Imola che è stato confermato anche nel calendario 2023 della Formula 1. Quante cose hai vissuto in questo circuito?

Il circuito di Imola per i romagnoli, ma anche per l’Emilia-Romagna, è sempre stato un punto di riferimento, perché particolarmente divertente e bello, anche se alcuni ricordi evidentemente non sono così piacevoli, visto quello che è successo nel Gran Premio del primo maggio del 1994 nel quale morì non solo Senna, ma anche Roland Ratzenberger e rimase ferito Rubens Barrichello.

Quella è stata una giornata molto triste per tantissimi, pensa che in Giappone addirittura ci hanno messo molti anni a riprendersi: Senna da loro era considerato veramente un mito, come in Brasile, e con la sua scomparsa si sono disinteressati per lungo tempo alla Formula 1.

Ogni primo maggio è incredibile quanta gente viene in massa a Imola per onorare la sua memoria, ed è un fatto stranissimo per il mondo della Formula 1, che di regola dimentica in fretta per lo spettacolo. Sono passati ben 28 anni e Ayrton non solo non viene dimenticato, ma è ricordato da giovani che non erano ancora nati quando ci ha lasciato, è qualcosa che va molto al di là dell’uomo sportivo tre volte campione del mondo!

Io ho avuto la fortuna di conoscerlo bene fin da quando correva in Formula Ford negli anni Ottanta, e posso dire che era una persona fantastica, particolare e un grande esempio di dedizione lavorativa.

Quella giornata del 1994, e specialmente la sua morte, ha portato la Federazione e i costruttori a rivalutare la pericolosità delle corse nel massimo campionato, e ha avviato un processo di aumento della sicurezza che ha radicalmente cambiato i progetti costruttivi delle vetture in gara. Da quel giorno solo Jules Bianchi ha perso la vita, e non per questioni legate alla sicurezza ma per un errore umano della Direzione Gara che ha fatto entrare una gru in pista.

Per tornare ad Ayrton, va ricordato certamente il suo modo di affrontare la vita e, per ricordarlo, nell’autodromo è stato disegnato un grande e bellissimo murales da un artista brasiliano tra i più bravi al mondo. Gli occhi e la profondità dello sguardo disegnato in quel murale sono esattamente come nella fotografia del pilota alla partenza e trasmettono al visitatore dei sentimenti diretti al cuore.

Come dicevo, io ho avuto la fortuna di frequentarlo, e quando lo guardavo negli occhi capivo immediatamente il suo stato d’animo in quel momento; l’ho visto per l’ultima volta il sabato sera prima della gara, dopo l’incidente mortale di Ratzenberger e l’uscita di strada del suo connazionale Barrichello, e aveva uno sguardo che esprimeva tantissime cose, preoccupazione in primis.

Quel primo maggio è stata veramente una brutta giornata anche per me. Pensa, ero al muretto per dirigere la gara dei piloti Minardi e ci è capitato un incidente ai box dove abbiamo perso una ruota e la vettura di Michele Alboreto aveva travolto dei meccanici. Dopo l’uscita di strada di Ayrton, sia Michele che Piero Martini volevano avere notizie su di lui. Erano suoi grandissimi amici e via radio continuavano a chiedermi come stava, e io non riuscivo a rispondere, già sapevo da un amico medico faentino che avevano saltato le procedure di primo soccorso in pista perché non c’era più nulla da fare per la sua vita.

A livello sociale Ayrton Senna era un personaggio strano, sempre un po’ schivo, sulle sue, ma chi gli era vicino riconosceva le sue grandi doti umane dietro la “maschera” che lo salvava dal vortice mediatico. Dopo tanti anni posso certamente dire che la maggior parte dei piloti, soprattutto i campioni, hanno un carattere non facile, ma solo pochi nella vita privata e con gli amici in confidenza si aprono con empatia e sentimento; Ayrton era uno di questi.

Devo anche aggiungere che questa sua limitatissima socialità dipendeva anche da lotte intestine che c’erano in quel periodo tra i piloti, e soprattutto era legata ai rapporti con chi raccontava il nostro sport, i giornalisti, che erano prontissimi a criticarlo pesantemente. Nel rapporto con la stampa, per esempio, Alain Prost era molto più bravo nella comunicazione, ed era il suo più grande avversario. Eravamo ancora lontani dall’uso degli odierni Social Network, tramite i quali ognuno può ora pubblicare repliche e commenti, per cui chi finiva tra le antipatie di chi scriveva gli articoli, compariva continuamente nei giornali solo con commenti e giudizi negativi.

Concentrazione e stress non vanno assolutamente bene per chi lavora nelle competizioni e vuole essere vincente, e creare barriera alle cose negative fa parte di quella particolare faticosa educazione fin da bambini per diventare campioni.

E di campioni ne ho conosciuti parecchi, di alcuni ho vissuto anche tutta la carriera, e devo dire che la capacità di concentrazione è un tratto distintivo di chi ha raggiunto i risultati più alti. Arrivare allo “stato di grazia” ogni singola gara per vincere un campionato del mondo è molto impegnativo per la mente e richiede allenamento per mantenerlo negli anni finché si è dentro al mondo delle competizioni. Il difficile è spegnerlo quando se ne esce!

Grandi campioni come Michail Schumacher e Valentino Rossi nel MotoGP hanno evidenziato di avere una testa ancora orientata alle competizioni anche dopo esserne usciti: finire la carriera non è come staccare una spina, e la passione e il pathos che si prova a vincere lascia dentro un desiderio adrenalinico di riprovare i brividi della gara e, magari, anche il piacere del podio di nuovo.

Capita anche a molti imprenditori che conosco, che non riescono a… “disintossicarsi” dalla vita di conduttore d’impresa e rimangono sul ponte di comando anche ben oltre l’età della pensione e non trasferiscono ad altri lo scettro per garantire la continuità.

Ahi, ahi, mi ci devo mettere anch’io fra i “drogati dal lavoro”. A 75 anni ormai dovrei stare a casa a guardare la televisione [NdR: ride di gusto], invece sono in giro più di quanto facevo con la Formula 1 perché ho un grosso difetto, faccio fatica a dire no alle proposte.

Il mio presidente Angelo Sticchi Damiani dell’ACI mi ha coinvolto nella Federazione come Presidente della Commissione delle Monoposto FIA e fatto diventare Presidente di Formula Imola per gestire l’Autodromo Internazionale Enzo e Dino Ferrari; come se non bastasse, continuo anche ad andare nei circuiti per vedere i ragazzi da avviare nel mondo delle corse e a programmare la scuola federale, esattamente quello che facevo da giovane e che amavo tanto.

È sicuramente per questo che ho sofferto meno di altri l’uscita dal mondo delle corse…

  • Con quale spirito gestisci l’Autodromo di Imola e cosa vedi nel suo futuro?

Il circuito di Imola è probabilmente uno dei più belli al mondo, ma soffre di criticità importanti, la prima data dal fatto di essere a 500 metri dal centro della città, con regole sull’inquinamento acustico che devono essere rispettate, poi da piani di sviluppo ed espansione che trovano limiti negli spazi circostanti limitrofi, che sono ridotti.

Dall’altra parte dobbiamo tenere sempre presente che occorrono investimenti continui per la manutenzione e la promozione, così continuiamo a studiare nuove forme di ricavo, come concerti, mostre ed eventi, che, fortunatamente, nell’ultimo anno hanno avuto molto successo.

Quanto abbiamo vissuto nel 2020 con la pandemia è stata una catastrofe, dal punto di vista delle entrate, ma avere mantenuto in perfetta efficienza l’impianto ha premiato Imola con addirittura due Gran Premi, pur senza pubblico, e con i piloti che hanno confermato la notevole validità della struttura e dell’organizzazione del circuito.

Oltre alla Formula 1 stiamo cercando di valorizzare l’autodromo con attività diverse che lo rendano polifunzionale, con riunioni di tipo convention, fiere, e con l’utilizzo della pista per il ciclismo e il podismo. Poi stiamo investendo nell’elettrico con l’inserimento di pannelli fotovoltaici in vari punti e, specialmente sopra la sala stampa, per essere autosufficienti in campo energetico e attivi nella sostenibilità.

Questi sono alcuni degli sviluppi introdotti per il futuro dell’Autodromo e di Imola stessa, che mi tengono impegnato decisamente di più di quanto mi aspettassi; dividermi tra i tanti impegni diventa sempre più oneroso, ma la passione che provo ancora oggi mi aiuta tantissimo!

Anche il fatto di sentirci parte di un territorio emiliano-romagnolo chiamato Motor Valley e di un comprensorio di 23 comuni, che con CON.AMI [NdR: Consorzio Azienda Multiservizi Comunale] sono proprietari di Formula Italia, dà a me e ai collaboratori una grandissima energia: quest’ultimo anno la Formula 1, le varie gare e le attività ulteriori sono riuscite ad aumentare il PIL della Motor Valley e della zona attorno a Imola con un incremento importante, e stiamo lavorando per mantenerlo in crescita anche per i prossimi anni.

  • Caro Gian Carlo, so anche per certo che quanto stai facendo merita un encomio: in Formula Italia sei un Presidente senza “gettone di presenza” perché sei in pensione, e questo Ti rende doppiamente merito ed esempio per la dedizione che giorno dopo giorno metti in quello che fai. Veramente grazie, è stato un vero piacere incontrarti e Ti auguro buon lavoro, Presidente!

ANNO 12 N.1

Credit Images Gian Carlo Minardi

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