Casa INTERVISTA Siamo ciò che mangiamo e diventiamo ciò che scegliamo di mangiare

Siamo ciò che mangiamo e diventiamo ciò che scegliamo di mangiare

Il primo chef vegetariano ad ottenere in Europa la stella Michelin oltre 20 anni fa, e ad oggi unico veg stellato d’Italia, ci racconta la sua vita e ciò in cui crede

da Capitale Intellettuale

Bianca Frondoni – Senior Consultant settore Comunicazione

Pietro Leemann è una di quelle persone di cui avverti davvero l’aura mentre gli parli: non solo è convinto al 100% di quel che ti sta dicendo, ma tutta la sua vita è di una estrema coerenza ed è tutto perfettamente naturale, come la sua cucina. Nessuno sforzo per apparire quel che (non) si è quando nasci in Svizzera da una coppia di insegnanti che desiderano far mangiare il proprio figlio sin dalla nascita in modo davvero sostenibile.

E tutto il resto viene di conseguenza.

Pietro, oggi Joia è un ristorante, una academy ma anche un luogo dove si sperimenta, si crea e si accolgono giovani cuochi: Lei ormai è un esempio in tutta Europa. Come ci è arrivato?

(Si schermisce e ride) Ma no, non è vero! Non ho fatto nulla… è venuto tutto così, spontaneamente. Un po’ come le erbe in effetti. Ho avuta la fortuna, nella casa di Minusio dove andammo ad abitare quando avevo un anno (nel 1962, n.d.r.), di potere da subito vivere nel nostro grande orto, dove nacque la mia passione. Giocavo colle mie sorelle (io sono quello in mezzo) e mi divertivo molto immerso nel verde. Fin dall’infanzia scopro cos’è il rispetto per gli animali e man mano che cresco ne faccio la mia convinzione. E tutto il creato è armonico, non importa se credi o meno in Dio. Ho scoperto presto, aiutando mia mamma a fare le torte, che ero bravo come lei in cucina e così inizio a studiarla. In realtà la vera e propria decisione la prendo a 16 anni quando viene a cena da noi il cuoco ticinese Angelo Conti Rossini. L’anno successivo inizio con uno stage in un albergo, che mi piace e poi grazie a lui un apprendistato di due anni a Lugano in un ristorante tipico italiano, dove imparo molto. Dopo il servizio militare, a 20 anni faccio la stagione a St. Moritz in un ristorante francese e mi accorgo sempre di più che non desidero mangiare né cucinare la carne. Altri due anni passati vicino a Losanna da Girardet, uno dei migliori ristoranti di nouvelle cuisine dell’epoca, mi fanno le ossa. Nell’84 poi ho la fortuna di incontrare Gualtiero Marchesi, una persona straordinaria. Divento propriamente vegetariano nell’85, credo una naturale evoluzione verso sé stessi e verso il pianeta. Questa scelta mi fa avvicinare, ancora una volta naturalmente, alle filosofie e agli stili di vita orientali: nell’86 passo un anno in Cina dove pratico anche meditazione Tai Chi. L’anno successivo si aprono per me le porte della scuola Tsuji di Osaka dove insegno cucina italiana e incontro i più bravi chef di tutto il mondo. Ma rischiavo di rimanere là per sempre e dunque decido di tornare indietro, con un viaggio entusiasmante sulla Transiberiana e sino al Muro di Berlino.

Con Gualtiero Marchesi vi conoscete da oltre trent’anni e siete stati anche colleghi

Sì, un’esperienza entusiasmante anche nell’89 come consulenti per Bulgari e altri importanti clienti e poi di recente per qualche anno ad Alma, la scuola internazionale di cucina di Colorno da lui diretta. Lui è un grande maestro, io solo uno specialista che teneva alcuni corsi. Gli ho anche dedicato un piatto, Caro Gualtiero.

Come nasce il Suo bambino, il Joia?

Inizialmente alcuni amici mi chiedono di aiutarli a lanciare questo nuovo ristorante, che poi rilevo nel ’90 insieme a uno di loro, Nicla. La partenza non è facile, studiamo a lungo gli equilibri necessari per attrarre anche il pubblico degli onnivori imitando i gusti e le consistenze della carne. Il mio primo libro, “Alta cucina vegetariana”, è del ’91 e raccoglie le ricette che ancora oggi rappresentano i miei cavalli di battaglia: il pesto leggero, le melanzane affumicate, il curry ingentilito, il riso basmati, le chocolat du chocolat, la meringa al vapore.

E poi?

E poi la mia ricerca non si ferma mai. La mia prima stella Michelin è del ’96: lo scopo della cucina è entrare in relazione cogli altri, i piatti stessi del menù iniziano a diventare un modo per passare un messaggio agli ospiti, quello che cerco di lasciare anche in altri interventi e pubblicazioni che faccio al di fuori del ristorante.

A proposito, Lei di recente ha inviato una lettera aperta ai curatori del programma Master Chef…

Grazie. Credo che chi fa ricerca da tempo, chi ha le conoscenze abbia la responsabilità di divulgare cose vere al pubblico della TV generalista che spesso è privo degli strumenti per comprendere concetti che parrebbero astratti. Di fatto qualche anno fa avevo partecipato a Masterchef Junior con grande soddisfazione, trovandomi in piena sintonia cogli autori; recentemente invece credo ci sia spesso un uso piuttosto “pesante” e quasi volgare delle materie prime e della cucina in questo canale di comunicazione, mentre si può ancora fare buona televisione, e si deve volerla fare; un po’ come il Buono, pulito e giusto di Carlin Petrini. Sono contento perché alla fine si tratta di persone intelligenti che hanno capito e lo scambio è stato positivo per tutti.

Il nucleo dei Suo pensiero in poche parole?

Il punto è che la cucina vegetariana rappresenta un modo per rispettare l’ambiente riducendo l’impatto dell’uso delle risorse necessario per produrre tutte quelle proteine animali, grassi e carboidrati raffinati. Il Bistrot che ho aperto nel 2009 all’interno del mio ristorante vuole proprio rivolgersi a tutti perché è giusto che tutti abbiano accesso alla buona cucina. Per lo stesso motivo mi sono offerto qualche anno fa come consulente per le mense dei bambini milanesi: se si impara da bambini a mangiare bene la vita serena è alla portata di tutti.

Che cosa insegna ai Suoi allievi della Joia Academy?

Con i ragazzi del ristorante negli ultimi anni sono riuscito a creare un gruppo coeso, amici che si impegnano nei vari progetti di divulgazione della cucina vegetariana e che fanno trasformare i miei sogni di un farmers’ market milanese con formaggi e tante verdure una realtà, quando abbiamo recentemente iniziato a coltivare un appezzamento a Cascina Caremma. Nel nostro ristorante ospitiamo spesso studiosi e persone impegnate come noi a diffondere le conoscenze sull’agricoltura biologica e biodinamica “concrete”, anche come strumento per gestire il territorio agricolo e per evolvere in questo senso la Politica Agricola Comune dell’Unione Europea.

Ci può elencare qualcuno dei Suoi piatti?

Alcuni dei miei preferiti: ratatouille scomposta, raviolo rinascimentale, spaghetti all’italiana, le fragole si specchiano nel lago, la morbida pelle del latte, conserva musicale, la mia charlotte, l’altro gazpacho, finta anatra alla pechinese. Nei miei attuali menu autunnali sto usando ovviamente la zucca, i tartufi, i finferli, ma vi lascio volentieri la ricetta qui sotto!

Grazie e arrivederci a presto dunque

Fonte immagine Pietro Lemann

ANNO 8 N 2

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