Vincenzo Ascione – Consulente esperto di ristrutturazioni aziendali in fase pre-concorsuale e concorsuale, già docente di tecnica bancaria al Centro Studi del Credito Italiano.
L’analisi degli “elementi di giudizio” sottoposti da una società, è in parte concentrata anche nei controlli di tutti gli “estratti conto” del cliente, riguardante sia i rapporti su “basi di fido”, ma anche i rapporti su “basi attive”. Lo studio approfondito di tale documentazione è finalizzato a far emergere situazioni irregolari circa l’applicazione, da parte del Sistema Bancario, di interessi, oneri e spese non dovuti, importi che dovranno essere restituiti al cliente con la maggiorazione degli “interessi legali” decorrenti dal momento degli addebiti illecitamente percepiti.
In tema di obbligazioni pecuniarie, l’art. 1283 c.c. disciplina il fenomeno dell’anatocismo, ai sensi del quale “in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi scaduti da almeno sei mesi”. Preliminarmente mi soffermo sul significato del termine “uso” richiamato nel sopracitato articolo. In pratica gli “usi” possono essere classificati in due categorie:
- usi normativi, che svolgono la funzione di “fonti del diritto” ;
- usi negoziali che invece esplicano una funzione interpretativa della volontà contrattuale, consentendo di attribuire un significato ad una dichiarazione ambigua.
Il sistema bancario ha da sempre inteso l’uso nella sua accezione di uso normativo, dando vita ad una nota disparità di trattamento tra la contabilizzazione degli interessi attivi e passivi del cliente nei confronti della banca.
In particolare nel caso degli interessi passivi del cliente affidato, interessi attivi per la banca, la contabilizzazione avviene trimestralmente, addebitando gli interessi alla fine di ogni trimestre.
In questo caso, la base di partenza del trimestre successivo è costituita da un montante (capitale più interessi) a tutto vantaggio dell’istituto che, nei quattro trimestri in cui si compone l’anno solare, incassa un importo relativo agli interessi maturati di volta in volta, maggiorato degli interessi maturati nel trimestre precedente.
Al contrario la contabilizzazione e liquidazione degli interessi attivi per il cliente (passivi per la banca) riguardanti i rapporti bancari su “basi attive”, veniva effettuata una sola volta nei 12 mesi, ciò a discapito del cliente, che si vedeva capitalizzato il montante solo una volta all’anno, con valuta 31/12.
Nel contesto di tale disparità di trattamento una grave anomalia riguardante i rapporti su basi di fido, era l’applicazione della cosiddetta “commissione di massimo scoperto” che il cliente doveva pagare in caso di sconfinamento dalla linea di credito accordata: se il cliente “Tizio” aveva un affidamento di € 100.000,00 e sconfinava ad esempio di € 2.000,00 la “penale” applicata dalla banca sotto la voce “commissione di massimo scoperto” (dallo 0,125% fino a 0,50% a seconda della forza del cliente e del suo potere contrattuale) veniva applicata non sull’importo dello sconfinamento, nel nostro esempio € 2.000,00 , bensì sul totale “utilizzato” di € 102.000,00.
È facile comprendere come le banche istruissero i propri funzionari, mai in forma ufficiale, a facilitare forme minime di sconfinamento che generavano introiti trimestrali rilevantissimi per i conti economici dell’Istituto.
Sul punto la Cassazione del 1999 ha sostenuto che la contabilizzazione trimestrale degli interessi passivi del cliente affidato costituisce un uso negoziale e non un uso normativo. Si giunge quindi al traguardo di contabilizzare gli interessi passivi e gli interessi attivi entrambi su basi trimestrali e la “commissione di massimo scoperto” viene eliminata essendo dichiarata illegittima dall’Unione Europea. A tal proposito evidenzio come il tasso passivo applicato dal sistema bancario ad un rapporto gestito su basi di fido non è l’unico onere che il cliente deve affrontare, per cui alle competenze passive trimestrali devono aggiungersi altri oneri che, convertiti in termini percentuali, fanno lievitare l’effettivo, reale, tasso di interesse passivo a livelli che possono anche sforare e sconfinare nel campo dell’usura.
È interessante evidenziare l’elenco delle sole spese che in aggiunta degli interessi trimestrali, rappresentano una notevole fonte di redditività per il sistema bancario:
- per tutti gli affidati si applica la cosiddetta commissione di messa a disposizione fondi; tale importo, liquidato ogni trimestre, solitamente è di € 5,00 per ogni € 1.000,00 di fido accordato;
- in caso di sconfinamento, come già detto, è stata eliminata la “commissione di massimo scoperto”, ma nel contempo è stata introdotta la cosiddetta commissione veloce o secca, di solito di € 20,00 per ogni giorno di sconfinamento dal fido accordato;
- pagamento trimestrale delle spese di “tenuta conto”;
- pagamento trimestrale delle spese per gli invii degli estratti conto;
- spese varie la cui natura non trova un minimo di giustificazione razionale;
- ci sono poi alcuni addebiti, assolutamente ingiustificati, che variano da istituto ad istituto, in base alla “fantasia finanziaria” della Direzione Centrale; ad esempio alcune banche continuano a far pagare il carnet assegni; altre banche ai prelevamenti allo sportello inferiori ad € 500,00 applicano una commissione di € 1,00 ad operazione; altre banche applicano una diversa commissione per prelevamenti con carta di credito se gli stessi vengono effettuati allo sportello bancario. Nella mia esperienza ho individuato addebiti tra i più assurdi che hanno però costituito una valida piattaforma contrattuale per ottenere, dapprima in via “stragiudiziale”, il rimborso di quanto illecitamente incassato dalle banche ai danni della società cliente.
Ciò che a me preme nell’analisi di tutti gli estratti conto, è poter convertire in termini percentuali tutte le spese illecitamente percepite. L’importo di tutte le spese addebitate, convertito in termini percentuali, deve essere quindi sommato all’ammontare degli interessi passivi addebitati trimestralmente al fine di ricavare l’effettivo e totale costo liquidato periodicamente e costantemente dal cliente: tale costo, nei termini percentuali così ricavati, potrebbe evidenziare una percentuale del tasso effettivo-reale così elevata da sconfinare in territorio “usuraio”.
Da notare che dal 14/5/2011 – prima di tale data si aumentava del 50% il tasso medio – la soglia di usura è calcolata aumentando il tasso medio di ¼ (0,25%), cui si aggiungono 4 punti percentuali. Ad esempio:
In tal caso il “tasso usuraio” sarà pari a 11,25% cioè: 7% + 0,25% + 4%.
È evidente che rispetto al passato, esiste una concreta possibilità per il cliente di poter recuperare degli importi consistenti, essendo anche cambiato il termine di decorrenza della prescrizione e dunque il periodo di applicazione degli addebiti illecitamente incassati.
È per questo motivo che il sistema bancario, quando si trova di fronte un professionista esperto di Tecnica Bancaria, cerca sempre di raggiungere un accordo “stragiudiziale”, poiché, gli importi da rimborsare, rivenienti da una seria analisi tecnica, possono raggiungere cifre molto importanti.
Quanto sopra è stato facilitato anche dal fatto che nel passato l’analisi tecnica sugli estratti conto poteva essere retroattiva con un limite ben preciso: trascorsi 10 anni dall’apertura del conto corrente tutto sarebbe stato prescritto.
Il cambiamento è stato radicale, ed ha causato uno “Tsunami” nel sistema bancario provocando un vero e proprio terrore da denuncia per “anatocismo”. Infatti, la Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 24418/10 e la corte Costituzionale si sono allineate, intervenendo altresì sulla decorrenza della prescrizione che rimane nei termini decennali ma, “a decorrere non più dall’apertura del conto corrente, bensì dalla chiusura del rapporto di conto corrente con la banca.”
Giustamente si è ritenuto che solo nel momento in cui cesserà il rapporto di conto corrente verranno regolarizzati tutti i rapporti tra banca e cliente. a “ratio” va ravvisata nel fatto che i pagamenti eseguiti dal correntista durante l’esecuzione del rapporto contrattuale non costituivano pagamenti indebiti, ma solo atti ripristinatori della provvista.
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