Alberto BubbioDocente di Pianificazione e Controllo all’Università Cattaneo-Liuc, Autore di libri su Controllo di Gestione e Pianificazione Strategica, curatore della traduzione dei libri di Norton e Kaplan sulla BSC.
1. Risorse e Asset intangibili sempre più colonne portanti del successo competitivo.
Per molte imprese, talvolta anche in modo inconsapevole, sta crescendo l’importanza di acquisire ed investire in risorse e patrimoni intangibili. Il loro insieme costituisce quello che in senso più ampio viene spesso definito il Capitale Intellettuale dell’impresa. Molti lo hanno costruito nel tempo, ma non sanno di averlo e soprattutto non ne conoscono la consistenza. Così sta diventando fondamentale fare emergere, ove esista e sia un fattore competitivo rilevante, questo capitale. Per fortuna, anche se ce ne siamo dimenticati, c’è una misura che dà evidenza a queste variabili intangibili: il Valore Aggiunto. Quanto maggiore è il Valore Aggiunto in percentuale sui ricavi tanto più un’impresa sta mettendo intelligenza in quello che fa. Il Valore Aggiunto è stato un po’ dimenticato in questi ultimi anni a favore di altri indicatori a contenuto informativo finanziario maggiore, come ad esempio l’Ebitda (Earning Before Taxes, Interest, Amortitation e Depreciation). È ora di riscoprirlo. È una misura troppo significativa: non solo evidenzia il contenuto di “intelligenza” che caratterizza l’offerta di un’impresa (prodotti più servizi), ma l’apprezzamento dei clienti per la proposta fatta.
È quindi un indicatore indiretto e di sintesi dell’utilizzo e della valorizzazione che si fa del Capitale Intellettuale. Così si può sottolineare che se il Valore Aggiunto supera il 45% dei ricavi, l’impresa è sicuramente intellectual intensive. Fra l’altro questa grandezza può essere abbinata ad altre per aiutare a capire la road strategy seguita. Infatti se si rapporta il Valore Aggiunto al costo del personale si ottiene un indicatore di efficacia nella valorizzazione strategica delle persone. In alcuni business questo indicatore è alto, in altri si abbassa pericolosamente sino a far cadere un’impresa in quella che può essere chiamata la trappola, spesso mortale, delle commodities (si veda Figura 1). Se l’indicatore è basso la trappola scatta, e si riesce a sottrarsi da essa solo differenziando e aggiungendo nuovi prodotti / servizi che creino valore per il cliente.
Questo rapporto può essere incrociato in una road map con i Ricavi, rapportati sempre con il costo del personale, e questo consente di capire la produttività del personale (si veda Figura 1). Ne scaturiscono dei percorsi che l’impresa può aver intrapreso in un arco temporale. Chi nel tempo riesce a valorizzare il personale su entrambe le dimensioni raggiunge performance di assoluto rilievo economico. È questo il percorso che la performance dell’impresa attenta riesce a realizzare: passa dapprima da una combinazione Valore Aggiunto su costo del personale basso/ricavi su costo del personale bassi, al posizionamento in B grazie ad un aumento del Valore Aggiunto al quale segue, in un momento successivo, un aumento anche della produttività del personale. Il posizionamento finale C dopo circa cinque anni diventa ottimale (si veda Figura 1): si potrebbe tentare un passaggio più rapido, ma esso risulta di difficile realizzazione perché efficacia ed efficienza sono sempre difficili da raggiungere insieme in tempi brevi.
L’intelligenza per produrre risultati va messa in azione, sia in quello che si offre sia nei processi che servono per offrirlo. Si noti che la scelta di inserire al denominatore il costo del personale anziché il numero dei dipendenti evidenzia che, a parità di numero di persone, i costi possono essere da azienda ad azienda profondamente diversi.
Un altro indicatore interessante è quello proposto da C. Hofer, che suggerisce di rapportare il Valore Aggiunto al reddito netto e determinare il ROVA (Return on value added, come rapporto tra Reddito netto / Valore Aggiunto). Quanto è più alto questo indicatore in percentuale, tanto più l’impresa sta valorizzando tutte le risorse utilizzate per mettere a punto la sua personale value proposition.
Ma quelli richiamati sono solo indicatori di sintesi che evidenziano la valorizzazione che si riesce a realizzare del Capitale Intellettuale di un’impresa. C’è poi la necessità di approfondire l’analisi e di individuare le componenti analitiche di questo capitale, e la letteratura in proposito è abbastanza uniforme. Sono almeno quattro i macro aggregati da scandagliare: il patrimonio delle competenze aziendali, il patrimonio delle relazioni commerciali (con clienti ma anche con i fornitori), il patrimonio delle soluzioni organizzative e il patrimonio rappresentato dalle persone con le loro caratteristiche individuali e le loro competenze. Queste sono importanti aree di investimenti. E benché tutti gli investimenti in azienda siano rilevanti, ve ne sono alcuni più critici di altri, quasi esistenziali, poiché da essi dipende nel tempo la capacità competitiva dell’impresa stessa e, di conseguenza, la sua redditività. Questi investimenti invisibili sono spesso nascosti tra i costi nel conto economico e condizionano, con la loro presenza, una maggiore o minore qualità del reddito. Quanto più i costi inseriti nel conto economico si riferiscono ad Asset intangibili, tanto di più la qualità del reddito risulta elevata (si veda Figura 2).
Questi investimenti alla base del successo competitivo aziendale nei primi settant’anni del secolo scorso erano in hardware, in beni materiali tangibili e visibili a bilancio. Oggi, invece, come è ormai ampiamente evidenziato da chi si occupa di economia aziendale, molti di questi investimenti sono spesso non visibili nelle rappresentazioni effettuate con il tradizionale modello contabile. Li si definisce in molti modi: investimenti immateriali, investimenti intangibili o, per nobilitarli ancora di più, Intellectual Asset e nel loro insieme Intellectual capital. Ma una cosa è certa: sono e saranno sempre più rilevanti nella gestione delle imprese.
Nell’era della conoscenza (Knowledge age), chi investe su questi Asset sta ponendo le basi per la creazione di un possibile Vantaggio Competitivo.
2. La Balanced Scorecard: un possibile strumento per rendere tangibile l’intangibile, il Capitale Intellettuale.
La Balanced Scorecard ad oggi è apparsa come uno strumento a supporto della gestione strategica particolarmente efficace. Chi conosce l’originaria proposta di Kaplan e Norton sa che i due studiosi della Harvard Business School suggeriscono di fissare dei target e di monitorare con una certa continuità oltre che la convenzionale dimensione economico-finanziaria (Financial perspective) anche la prospettiva del cliente (Customer perspective), quella dei processi gestionali interni (Internal Processes Perspective) e quella dell’apprendimento e della crescita / innovazione (Learning and Innovation/Growth Perspective) (si veda Figura 3).
Le linee guida suggeriscono di attivare questo processo:
- individuando pochi indicatori per ciascuna delle quattro prospettive, che siano espressione della missione e della strategia aziendale;
- selezionando questi indicatori in quanto espressione di variabili o fenomeni in stretta relazione di causa/effetto con missione e strategia;
- elaborando, per conseguire quanto indicato nel sub a, una “mappa strategica”, che sia rigorosa espressione del modello di business perseguito. È da questa mappa che dipende l’efficacia dello strumento e risulta essere il vero anello di collegamento e allineamento tra la gestione operativa e la strategia, spesso mancante nelle imprese.
Per questi aspetti di strategicità ed operatività insiti nella predisposizione dello strumento, questo deve essere progettato con la fattiva collaborazione del management aziendale. Infatti tra i prerequisiti c’è la creazione di un Executive Team nel quale è opportuno che siano presenti, oltre ai vertici aziendali, anche tutte quelle figure che ricoprono ruoli chiave nell’impresa, anche se non dirigenti.
È opportuno precisare che oltre ad una BSC aziendale (Corporate BSC) può rivelarsi utile elaborare delle BSC di Area Strategica d’Affari (ASA, strategic business area / unit), qualora l’impresa sia multi ASA.
Il processo è il medesimo per i vari livelli organizzativi di elaborazione delle BSC. Ciò che cambia sono le variabili, le relazioni tra queste variabili e gli indicatori. È comunque buona prassi cercare di avere dei collegamenti precisi tra le variabili d’ASA e quelli dell’azienda nel suo complesso.
Per elaborare una BSC è necessario che l’Executive Team:
- richiami o rivisiti la missione aziendale;
- definisca gli obiettivi strategici che devono guidare la gestione nei prossimi anni;
- costruisca la “mappa strategica”, che significa seguire un processo logico a ritroso che, partendo dai risultati economico-finanziari necessari per soddisfare gli azionisti e consentire investimenti senza compromettere l’equilibrio finanziario:
- analizzi le determinanti di questi risultati sia dal punto di vista dei ricavi (customer perspective), fermi restando gli obiettivi strategici di mercato;
- analizzi e individui i processi gestionali critici, ricordando da questi dipendono oltre che le performance nei confronti dei clienti anche i costi e gli investimenti aziendali;
- rifletta sui processi che richiedono lo sviluppo di apprendimento e siano oggetto di innovazione, poiché da essi dipende la capacità nel tempo di migliorare o sviluppare i rapporti con i clienti in modo diretto o attraverso un miglioramento / innovazione dei processi gestionali interni;
- selezioni, dopo aver individuati con la mappa strategica le variabili o i processi chiave, gli indicatori o le misure di performance;
- per ciascun indicatore fissi un target;
- individui le azioni che si ritengono necessarie per raggiungere i target desiderati;
- elabori i budget operativi e il budget degli investimenti in base alle azioni individuate per raggiungere i target, assodato il fatto che i budget sono dei programmi di azione espressi in termini eco-fin.
Sin qui tutto bene, anzi il processo è perfetto. Ma nella BSC così impostata si può rischiare di commettere un errore: inserire anche nelle prospettive non economico-finanziarie delle variabili di risultato invece che variabili determinanti quei risultati (driver).
Pertanto un primo suggerimento è sicuramente quello di non accontentarsi, ad esempio, della customer satisfaction o del grado di fidelizzazione del cliente per valutare le performance nella prospettiva cliente, ma cercare di capire da quali variabili dipendano le performance evidenziate da queste due variabili di risultato.
Ma c’è di più. Pur con i molteplici pregi di questa BSC, che sono così sintetizzabili:
- utilizzo di indicatori non solo economico-finanziari per indirizzare e apprezzare le performance di impresa,
- collegamento di questi indicatori alla missione e alla strategia grazie alla costruzione della “mappa strategica”,
- coinvolgimento del management nell’elaborazione dello strumento,
si lasciano in secondo piano quelle che sono le vere determinanti della performance aziendale: le caratteristiche degli Asset Strategici. Questi attualmente, come già sottolineato, sono stati con vigore evidenziati anche nella proposta di Kaplan e Norton (2004). Al punto che i due studiosi hanno sentito la necessità di distinguere le spese di investimento in due categorie: quelle relative ad investimenti che non posso non effettuare per presenziare un determinato business (Capital expenditure – Capex), e le spese strategiche (Strategic expenditure – Stratex).
Così anche i due studiosi, in “Mappe Strategiche” (2005), sottolineano la centralità di queste “nuove” tipologie di investimenti e cercano di evidenziare quali azioni intraprendere per tradurre gli Asset intangibili in risultati tangibili.
Il punto di passaggio, per travasare questi patrimoni nella prassi aziendale, secondo i due studiosi è individuabile, nell’ambito della BSC, nella prospettiva Apprendimento e Innovazione (Learning & Growth). Anzi proprio questi Asset intangibili sono alla base di questa prospettiva, che è già di per sé quella che più delle altre è chiamata a sviluppare le performance del lungo termine. La loro proposta è molto vicina a quanto presentato in quest’articolo, soprattutto quando i due autori precisano:
“Più di una decina di anni fa noi abbiamo identificato, nella prospettiva Learning & Growth, tre categorie di Asset Intangibili essenziali per implementare qualsiasi strategia:
- Capitale Umano: gli skills, i talenti e le conoscenze che caratterizzano il personale di un’impresa;
- Capitale Informativo: i database aziendali, il sistema informativo, i networks e le tecnologie infrastrutturali;
- Capitale Organizzativo: la cultura aziendale, le caratteristiche della leadership aziendale, come si cerca di allineare le persone agli obiettivi strategici e l’abilità delle persone nel capitalizzare la conoscenza.” (1)
Si pensa così che ci si possa spingere ancora oltre: si può pensare ad una BSC che affianchi a quella originaria di Kaplan e Norton (si veda Figura 4). Anche in questa nuova BSC al centro ci sono la missione e gli intenti strategici, ma sostituisce alle tradizionali prospettive quattro Asset strategici ritenuti particolarmente critici ed intangibili:
- il patrimonio delle relazioni commerciali con clienti e fornitori;
- il patrimonio delle conoscenze aziendali;
- il patrimonio delle soluzioni organizzative;
- il patrimonio delle persone che collaborano con l’impresa.
Così alla luce dei contributi sin qui richiamati e sulla base delle realtà aziendali analizzate si può sottolineare come le imprese, che sono state capaci di crescere e lo hanno fatto in modo equilibrato ponendo le basi per un duraturo successo competitivo, abbiano assunto comportamenti caratterizzati da due aspetti:
- hanno saputo nel tempo effettuare gli investimenti corretti per mantenere o migliorare la loro capacità competitiva senza dover ricorrere ad elevati finanziamenti da terzi; ciò grazie alla loro redditività e al flusso di liquidità generato dalla gestione; percorrendo il circuito presentato in figura 5 in modo virtuoso e auto alimentandosi;
- hanno effettuato investimenti anche rilevanti in Asset o patrimoni (immagine aziendale, brand, formazione e sviluppo delle persone, acquisto o sviluppo di soluzioni ITC, ricerca e sviluppo di prodotti / servizi e altro ancora) per i quali anche le più sofisticate tecniche di capital budgeting mostrano grossi limiti valutativi; purtroppo questi Asset, pur facendo parte del patrimonio aziendale, non sono rilevati dalle convenzionali impostazioni del modello contabile. E solo in modo parziale e, comunque soggettivo, riescono ad essere evidenziati con l’applicazione degli International Accounting Standards (IAS).
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