Casa Organizzazione Progetto Piramide – Il valore fondamentale della catena decisionale nelle PMI

Progetto Piramide – Il valore fondamentale della catena decisionale nelle PMI

La valorizzazione delle figure intermedie rappresenta per le imprese, oggi più che mai, la possibilità di recuperare competitività attraverso la crescita delle loro capacità ed abilità e lo sviluppo di una visione condivisa con il vertice organizzativo.

da Capitale Intellettuale

Giovanni Basile Ingegnere elettronico, Consulente Apco Gestione Sistemi Produttivi

Nelle Operations di molte PMI italiane sono spesso annoverate tutte le funzioni “interne” all’azienda, che vanno dalla produzione alla qualità, dalla ricerca alla logistica, passando per l’Information Technology piuttosto che per il reparto degli acquisti.

Le figure chiave di questi reparti sono i veri gestori della quotidianità di ogni azienda e, purtroppo spesso anche nelle strutture più evolute, vedono il proprio ruolo sovrapporsi con il ruolo di altri colleghi oppure scoprono nei processi lavorativi l’apertura di veri e propri buchi di funzione.

Se parliamo di Enterprise Governance la nostra mente va immediatamente all’idea strategica di una azienda nella quale il Top Management mantiene tutto perfettamente sotto controllo e che dalla stanza dei bottoni guida la nave attraverso mari calmi e confortevoli verso la meta fissata.

Invece, non è così semplice: la conduzione delle imprese richiede molteplici funzioni interagenti per gestire la “nave aziendale”.

Nel concetto di Governance aziendale è infatti molto importante definire anche il valore delle figure intermedie ed il top manager ha, non di rado, la necessità di porsi di fronte alla consapevolezza di quanto sia fondamentale rivedere la logica di comando ed il processo decisionale appoggiandosi a loro per l’esecutività.

Capita sovente che le aziende non abbiano codificato un efficace mansionario con i relativi elementi di identificazione e di sviluppo delle competenze per arrivare ad un’assegnazione di ben precise responsabilità: ciò crea scollegamento dei vari circuiti decisionali.

Oltretutto, nella quasi totalità dei sistemi gestionali odierni esistono strumenti informatici per la realizzazione di magnifiche intelaiature organizzative che spesso rimangono semplici contenitori di dati e informazioni, invece di essere un reale supporto ad una coesa gestione applicativa delle funzioni e dei processi.

Nell’assegnazione delle responsabilità vi sono due problemi di fondo che ogni organizzazione presenta in modo quasi endemico:

  • la tendenza a lasciare ai livelli più bassi alcune scelte fondamentali per il sistema (qualità, produttività, ottimizzazione, ecc.);
  • la presenza di coni d’ombra decisionali dove i confini non sono definiti chiaramente e le risorse o non sanno a chi rivolgersi o lo fanno in modo casuale e non appropriato.

Un altro aspetto troppo spesso non valorizzato o addirittura carente è il ruolo della formazione e l’identificazione della stessa quale elemento al quale appoggiare lo sviluppo principale dei quattro elementi di base:

  • valore della persona;
  • valore dell’azienda;
  • lavoro in team;
  • rispetto della Gerarchia.

I concetti legati a questi elementi non dovrebbero rimanere negli appunti come una folgorante parentesi culturale, dopo averli ascoltati in sporadici convegni o singoli corsi, ma entrare goccia a goccia nel DNA professionale. Ciò contribuirebbe al processo di miglioramento continuo e collaborativo di ognuno tramite una strutturata e ponderata crescita cognitiva realizzata per mezzo di adeguati piani di alta formazione manageriale.

 

A questo punto, se consideriamo l’azienda come un’entità con motivazioni e bisogni, arriviamo facilmente anche a quanto descritto da Abraham Maslow nella sua Piramide a cinque livelli, dove ogni scelta deriva da uno stimolo verso un’emancipazione personale e professionale insito nei vari strati, con l’obiettivo di tendere ad una soddisfacente crescita gerarchica e di raggiungerla.

 

I livelli di bisogno concepiti partendo dal basso della Piramide sono:

  1. bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.);
  2. bisogni di salvezza, sicurezza e protezione;
  3. bisogni di appartenenza (affetto, identificazione);
  4. bisogni di stima, di prestigio, di successo;
  5. bisogni di realizzazione di sé (realizzando la propria identità e le proprie aspettative e occupando una posizione soddisfacente nel gruppo sociale).

Possiamo immaginare uno sviluppo simile all’interno dell’azienda:

  1. necessità operative di base;
  2. chiarezza delle informazioni e delle responsabilità;
  3. concetto di Squadra;
  4. immagine;
  5. risultati nel tempo riconosciuti.

Un manager inserito in un’organizzazione può portare a miglioramenti nella gestione organizzativa e delle risorse umane ma, per raggiungere questo traguardo, deve prima riuscire ad allentare il freno delle numerose resistenze per arrivare a cambiare, e far cambiare, alla stessa velocità degli avvenimenti che lo circondano.

Occorre forse ricordare a questo punto che la necessità di assegnare a ciascun lavoratore una mansione, che richiederà determinate competenze e che genererà specifiche responsabilità, è una parte integrante e fondamentale dell’organizzazione aziendale.

Purtroppo, la situazione di tantissime aziende del tessuto industriale del nostro paese oggi è composta da personale molto esperto, oltre 10/15 anni di presenza nella stessa struttura, che sta vivendo un periodo di profonde mutazioni ma che, invece, ha sostanzialmente mantenuto una mentalità poco propensa alle variazioni dello status quo.

La domanda è: se consideriamo il cambiamento come base del miglioramento continuo, allora come potrà essere possibile attuarlo senza manager predisposti al cambiamento?

Una risposta potrebbe essere quella di elaborare una ristrutturazione delle mansioni-competenze-responsabilità attraverso una discussione comune ed un lavoro che diventi un importante e virtuoso esempio di team working attraverso alcuni passaggi.

 

Il Progetto Piramide consiste nell’organizzazione di una serie di riunioni, all’interno delle quali l’azione principale è quella di scomporre l’attività aziendale in processi, identificando all’interno di questi quali figure concorrono all’avanzamento, ed infine decidere chi deve essere garante del successo, inteso come completamento, delle attività intrinseche all’area analizzata. Questo introduce il concetto di Activity Based Management (ABM).

 

Nelle imprese ove la matrice gerarchica non segue il flusso decisionale corretto, un’analisi organizzativa può evidenziare una sorta di scorrimento del potere dal centro verso il basso oppure, più tipicamente, dal centro verso l’alto: questo comporta una deresponsabilizzazione del livello e del valore del middle management che al contrario dovrebbe rappresentare il punto di riferimento attuativo della gestione tipica.

Se schematizziamo l’azienda in tre fasce possiamo attribuire alla base un valore esecutivo, alla cima un potere strategico e al centro la parte gestionale e coordinativa dell’attività lavorativa che diventa il centro propulsore dei processi.

 

Nel corretto ambito della Governance questo schema garantisce efficienza ed efficacia perché suddivide nettamente le responsabilità, evita pericolosi scambi di funzione ed, infine, assegna     un’identificazione di ruolo ed una possibilità di realizzazione professionale anche alle figure intermedie, alle quali l’assenza di delega può invece creare una vera e propria barriera allo sviluppo.

 

Questo nuovo approccio dovrebbe nascere dalla volontà del vertice della piramide di:

 

  • diventare un consulente/consigliere interno all’ azienda, a cui i livelli sottostanti chiedono supporto per il raggiungimento degli obiettivi assegnati;
  • realizzare il processo di delega con la condivisione della fiducia verso i collaboratori;
  • pianificare un’attività di verifica e controllo periodica affinché i diversi elementi si muovano in sincronia;
  • dedicare maggior tempo alla gestione ed alla valutazione del clima in azienda, specchio della reale collaborazione dei vari elementi.

Cosa chiedono contestualmente i destinatari del progetto?

 

  • collaborazione tra i vari elementi;
  • chiarezza della mappatura delle competenze-mansioni-responsabilità;
  • positività verso la base della piramide;
  • consapevolezza del ruolo che l’azienda intende affidare;
  • fiducia negli strumenti;
  • tranquillità nell’attività decisionale.

L’elemento fiduciario da un lato e la responsabilizzazione dall’altro, rappresentano le chiavi del successo di tutta l’attività in questo progetto in quanto sia nel rapporto con il vertice che all’interno del gruppo di lavoro è necessario partire dalla convinzione di poter condividere, credendoci veramente, la gestione aziendale.

 

Per sviluppare il progetto esistono tre fasi fondamentali:

 

  1. la condivisione dell’idea. Può apparire scontato, ma la reale comprensione del significato del progetto, così come far sentire i collaboratori parte attiva nella ristrutturazione aziendale, rappresenta una delle chiavi del successo;
  2. analisi delle macro aree di lavoro con scomposizione dei processi ed assegnazione dei compiti-responsabilità;
  3. verifica del funzionamento della nuova architettura utilizzando i flussi aziendali tramite il controllo dei risultati.

Il manager aziendale rappresenta il progettista ed aprire un’attività così importante porta ad un’attesa da parte di tutte le componenti, circa un risultato comune da raggiungere, e lo espone alla responsabilità complessiva ed oggettiva dell’operazione.

Quale potrebbero essere i vantaggi concreti del progetto?

 

Questa fase di forte cambiamento nel panorama dell’attuale mercato pone le PMI nella necessità di promuovere un risparmio gestionale associato all’impossibilità di ridurre il personale per non rinunciare a servizi che sono ormai consolidati e pretesi da tutti gli Stakeholder aziendali.

Da diversi anni ormai le aziende operano tagli al fine di contenere i costi, ma proseguire su questa strada porterà a perdite sul mercato di riferimento e di conseguenza ad un impoverimento dell’azienda stessa.

Come immaginare un taglio sulla qualità dei prodotti oppure sulla ricerca di nuovi mercati? Come ridurre un servizio commerciale efficiente che oggi offre risposte chiare e tempestive alla clientela?

Partendo dalla considerazione che l’organico sia ormai al minimo, e nel rispetto di quanto ritenuto produttivamente indispensabile, abbiamo come unica possibilità di recupero economico l’ottimizzazione e l’efficientamento del servizio stesso, con l’auspicabile risultato di ridurne gli sprechi ed i costi della non qualità, ottenendo un atteggiamento “finalmente” aziendale di tutto il personale, in questo modo rivolto alla soddisfazione del mercato e del cliente, interno o esterno che sia.

Su questo le imprese italiane possono e devono lavorare ancora molto per governare l’attuale impetuoso cambiamento anziché subirlo.

Se avranno la capacità di guardare al loro interno e di trovare quelle risorse intangibili che potranno sostenerle nel medio-lungo periodo, allora potranno superare questa fase e soprattutto impostare la struttura in modo che sia orientata alle sfide del futuro ed all’ipercompetitività.

 

Generare una riorganizzazione basata sul coinvolgimento dei livelli intermedi apre un nuovo orizzonte a chi effettivamente la gestisce ogni giorno e consente una crescita rapida delle persone nel sistema, aiutandole ad uscire dalla passività data da decisioni imposte solo dal vertice e ponendole in fase reattiva prima e proattiva poi, in una posizione di aiuto e supporto verso l’azienda ed i colleghi.

Fondamentale è poi il ruolo della formazione in merito alle competenze trasversali ed al valore che queste hanno nelle possibilità di gestione di un gruppo. Creare un linguaggio comune e sano su cui poggiare le fondamenta della personale costruzione del team working crea i presupposti per il successo di qualsiasi progetto.

Dopo questa premessa è chiaro che, se negli anni passati il management di un’azienda ha avuto la visione lungimirante di acquisire formazione di pregio, oggi è nella possibilità di applicare in tutta la sua struttura validi processi di resilienza.

A questo punto, se da un’autoanalisi rileviamo la presenza di coni d’ombra operativi oppure di un flusso decisionale con blocchi, alla revisione della matrice competenza-mansione-responsabilità potremo associare un ulteriore concetto intangibile: la promozione del contributo collaborativo spontaneo a tutti i livelli organizzativi.

È proprio nello scambio dei contributi personali che spesso anche i migliori sistemi organizzativi manifestano dei limiti, perché un’eccessiva schematizzazione dei compiti e, soprattutto, la non condivisione degli obiettivi portano le risorse ad arroccarsi all’interno di rigidi confini perimetrali fissati.

Proprio per stimolare questo positivo atteggiamento è altresì opportuno sostenere la condivisione del percorso di costruzione della nuova realtà organizzativa, ed all’interno di questa rivedere i singoli rapporti di delega/fiducia, così difficili da creare, ma anche così determinanti per la motivazione.

Contributo è anche la scelta di ciascuno di accettare una limitata interazione nella propria area di lavoro dalle funzioni limitrofe senza creare conflitti, miscelata con la capacità di proporre idee per la soluzione di problematiche di processo sul confine delle suddette aree di influenza.

Il contributo collaborativo è anche la chiave per superare la burocrazia, e può rappresentare il punto più alto della piramide personale della motivazione per la condivisa soddisfazione che viene generata dai risultati in tutti gli Stakeholder.

Commento  di Armando Caroli all’articolo di Giovanni Basile

Leggendo l’articolo di Giovanni Basile mi sono balzati alla memoria i ricordi di inizio carriera, quando le strutture d’impresa in difficoltà comparivano ai miei occhi come elementi di enorme e sfaccettata complessità, evidenziati come problematiche di connotazione organizzativa dal committente ormai sfinito, ma che, ad un’analisi più approfondita, risultavano invece intimamente legate alle limitate capacità manageriali delle risorse impiegate.
Con il passare degli anni l’esperienza ha aumentato la mia abilità nel comprendere le caratteristiche del personale direttivo delle imprese e nel discernere quali sono le dirette connessioni tra carenze manageriali, carenze tecniche e risultati negativi rilevabili nei vari livelli gerarchici. Mi trovo pertanto d’accordo con l’autore dell’articolo quando ritiene fondamentale l’emancipazione e la responsabilizzazione sia del top che del middle management per garantire le funzioni attuative della catena decisionale, per diversi motivi che vado ad esprimere.
Nell’Enterprise Governance la prima delle tre direttrici è quella del Capitale Intangibile, che viene diviso a sua volta in Capitale Relazionale, Umano ed Organizzativo, evidenziando in questo modo che, anche se singolarmente hanno valori misurabili per il controllo e lo sviluppo, non raggiungeranno mai la loro funzione sinergica se anche uno solo non risulterà adeguato.
Tutte le imprese hanno rapporti con gli Stakeholder e quelle virtuose hanno compreso che vanno tenuti in modo da generare soddisfazione in ognuno di loro. I clienti, i partner ed i fornitori strategici, infatti, si aspettano contatti relazionali ad alto contenuto valoriale, il personale impiegato si aspetta di lavorare in un’organizzazione che gli consenta di sviluppare conoscenze, capacità, esperienze ed abilità, e la struttura complessiva si aspetta che siano disponibili tutti gli strumenti operativi, procedurali e metodologici per generare un vantaggio competitivo ed il successo dell’attività.
Azzardando un’associazione non troppo lontana dalla realtà, così come il corpo umano richiede che tutti i suoi organi siano efficienti ed efficaci per funzionare al meglio, anche i manager all’interno dell’impresa hanno contemporaneamente la funzione di controllori e di propulsori del miglioramento, svolgendo una funzione di agevolatori di quel processo matriciale multidimensionale qual è l’organizzazione aziendale. Ma questo succede solo se interpretano un ruolo da protagonista nel palcoscenico che è stato loro assegnato, non, altresì, se diventano rallentatori o azzeratori delle varie azioni comprese nello sviluppo dei processi.
Nelle fasi di analisi delle organizzazioni mi è capitato sovente, purtroppo, di trovare elementi seriamente ostacolanti le attività di miglioramento proposte a causa dell’endemica difficoltà dei manager, ma anche, e ancora più grave, di alcuni imprenditori, a comprendere le evidenze rilevate dal Management Consultant, nonostante queste fossero suffragate da vari elementi oggettivi rilevati dentro le loro imprese.
Negare criticità nella gestione del Capitale Intangibile, non credere nell’opportunità del miglioramento continuo del Capitale Organizzativo e di quello legato alla Tecnica, sostenendo invece abitudini inveterate o visioni legate a singole consolidate azioni che non si collocano in fasi di processo, è una vera e propria barriera allo sviluppo delle imprese e si oppone veramente alla resilienza, oggi più che mai necessaria per vincere in un mercato sempre più globale ed in continuo cambiamento.
Il mio pensiero positivo è che per le imprese italiane, allo stato attuale, l’unica possibilità per riuscire a reagire ai cambiamenti della situazione economica degli ultimi anni sia quella di fare un “freddo bagno di umiltà”, così da arrivare a percepire il livello di criticità della salute professionale dei propri manager, per poi definire cosa e come studiare nuove formule strategiche, cosa devono sapere e cosa devono avere le risorse intangibili strategiche (i talenti), chi deve ricoprire i ruoli chiave dell’organizzazione scegliendoli con lucidità ed oggettività e, in ultimo ma non meno importante, chi deve essere capace di controllare tutti i processi generativi la soddisfazione degli Stakeholder.
La mia ricetta del giorno, quindi, è: Curiosità e Miglioramento continuo miscelate lentamente con Alta formazione e Consulenza da esperti professionisti. ■

ANNO 4 N.1

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