Carmine America Consulente di management strategico ed analista d’intelligence economica nel settore Difesa & Aerospazio
Dalla caduta del muro di Berlino a oggi è possibile riscontrare una significativa evoluzione terminologica nel lessico degli apparati informativi, espressione di un riquadramento della missione e della filosofia propria dei sistemi di sicurezza.
Nel corso di un ventennio, infatti, rapidi si sono succeduti neologismi destinati ad esprimere nel modo più pregnante possibile il cambiamento in atto negli equilibri internazionali tra attori dai caratteri sempre meno definiti e sempre più difficili da qualificare secondo gli schemi classici degli ordinamenti di tipo westfaliano.
La dottrina di settore, attenta a intus legere (a carpire) i cambiamenti in atto nelle relazioni più o meno palesi tipiche del mondo globalizzato, si è accorta ben presto di questo cambiamento ed ha inteso imprimerlo in una sequenza semantica sulla quale vale oggi la pena di soffermarsi: geostrategia, geoeconomia, geotecnologia – per coloro adusi ad un lessico di matrice geopolitica – o anche intelligence strategica, economico-finanziaria e tecnologica, per gli analisti di settore.
Tale sequenza semantica non può essere considerata una mera lucubrazione dottrinale; al contrario, va letta come lo sforzo effettivo e arduo di riportare nell’alveo della riflessione scientifica una serie di sconvolgimenti di forza che hanno investito l’universo delle relazioni internazionali all’indomani dello sgretolarsi del mondo bipolare.
Sebbene un’attenzione eccessiva a sforzi classificatori sia in genere espressione indiretta di un tentativo di autolegittimazione formale, si deve osservare come il passaggio di campo tra desinenze pur differenti (strategia, economia, tecnologia) sia fortemente legato alla realtà dell’ultimo decennio, ancorata all’utilizzo di una radice che rimane invariata – geo, ad indicare un contesto sempre più marcatamente globale e internazionale – e ad un significante che conserva la sua originaria vocazione, quella cioè di inquadrare e descrivere la complessa realtà competitiva e quindi conflittuale tra molteplici soggetti nei cui confronti non è più possibile applicare escatologicamente le normali categorie di alleati e avversari, amici e nemici, pubblico e privato, in un gioco che non è più a somma zero.
L’operatore d’intelligence, in altre parole, si è visto catapultato in breve tempo in una realtà alterata, nella quale gli si chiedeva di conservare i propri tratti distintivi e la propria ragion d’essere, vivendo in un nuovo contesto e assumendo una conformazione più fluida e dinamica di quella ricorrente nella competizione strategica tra ordinamenti statuali.
Oggigiorno si è accettata a pieno la nuova concezione dei rapporti di potenza che vede l’economia e le sue varianti di riferimento – produzione industriale e ricerca tecnologica su tutte – imporsi sull’accezione tipicamente westfaliana del confronto strategico tra Stati, quali attori unici della comunità internazionale in un’ottica tipicamente otto/novecentesca, nella quale la sovranità era tratto distintivo dominante e l’agente d’intelligence si muoveva in confini chiari e precisi, determinando quasi ontologicamente obiettivi da raggiungere, metodi da utilizzare e nemici da combattere.
Non a caso negli anni novanta non poche difficoltà poterono riscontrarsi soprattutto all’interno degli apparati statuali a recepire concetti profondamente innovativi, come appunto l’idea di una intelligence “economica” e soprattutto il ribilanciamento delle categorie di minaccia e rischio per gli interessi strategici del sistema Paese.
Il graduale passaggio alle nuove “comunità intelligence” occidentali ha seguito una direttrice solo in parte lineare e omogenea, influenzata dai mutevoli scenari nazionali e internazionali, attraverso i quali oggi più che mai si può riscontrare in maniera particolare lo sforzo innovativo del Sistema italiano.
Per carpire e comprendere i caratteri del cambiamento diviene allora opportuno soffermarsi non solo sugli aspetti di tipo organizzativo, certamente importanti, ma ancor di più bisogna concentrarsi su un profilo marcatamente operativo, sia per le attività di counter-intelligence che per le attività di raccolta informazioni negli scenari esterni.
Quali sono le nuove minacce da monitorare? Quali gli obiettivi da raggiungere? E’ attraverso tali quesiti che si riesce a intravedere il volto della nuova intelligence e, indirettamente, il vero oggetto di attenzione da parte degli attori internazionali, pubblici o privati che siano: cyber-intelligence, intelligence energetica, economica, finanziaria e industriale. Ancora una volta il confronto di potenza tra apparati (che continuano a presentare una connotazione fortemente nazionale) si manifesta nella capacità di competere in uno scenario inconsueto e poco conosciuto, nel quale l’informazione è tutto e rappresenta l’interesse più alto e sensibile per le forze in gioco. In un mondo dai confini “fluidi”, in cui le distanze si annullano e l’ingerenza esterna può manifestarsi nelle forme più desuete, la minaccia alla sicurezza dello Stato e dei suoi cittadini non si esaurisce col rischio terroristico e con le attività a questo collegate, ma assume i caratteri opachi tipici delle penetrazioni commerciali e degli attacchi alla solidità finanziaria di aziende e organizzazioni economiche strategiche per il Sistema Paese. Se la contrapposizione rigida, tipicamente novecentesca, tra hard power e soft power sembra perdere smalto a vantaggio di azioni non convenzionali e difficilmente classificabili, l’unico rimedio che lo Stato possa utilizzare contro tali minacce è proporzionalmente non convenzionale, capace di muoversi con discrezione e di innestarsi in profondità nel mondo dell’economia, della finanza e dell’industria. Per esercitare le sue funzioni, l’agente d’intelligence non può limitarsi a operare come un qualsiasi analista finanziario o di polizia tributaria, poiché questo non sarebbe sufficiente e non corrisponderebbe alla ragion d’essere che ne legittima l’azione. Per riprendere l’espressione di un acuto conoscitore della materia, “la legittimità sostanziale dei servizi speciali risiede negli interessi dello Stato e nella non convenzionalità del bene che si vuole acquisire o del pericolo da cui ci si vuole difendere, beni non acquisibili in via legale o in forma aperta”.[1]
Ancora una volta, quindi, l’intelligence, pur indossando una nuova veste e agendo in nuovi scenari, conserva i suoi tratti distintivi e trova legittimazione nel più alto bene che lo Stato intenda tutelare: la sicurezza della Repubblica e dei suoi cittadini.
Si può allora capire chiaramente che gli apparati di sicurezza statuali siano cambiati con il tempo non per una artificiosa esigenza di adattamento ma per la necessità di continuare ad assicurare l’esatta corrispondenza alle richieste del decisore politico rispetto a minacce assai più impegnative e labili di quelle passate.
Se, infatti, si escludono i forti scossoni causati dai cosiddetti black swans o dagli attacchi di tipo terroristico, ai quali sempre si riserva un’attenzione altissima – soprattutto in un periodo storico in cui si assiste all’evidente revanscismo di conflitti a matrice geopolitica – si può prendere cognizione del fatto che i nostri Servizi siano portati oggi più che mai a interessarsi di economia, di finanza e principalmente di produzione industriale.
La competizione economica può nascondere fini reconditi e potenzialmente distruttivi per la stabilità e la sicurezza dello Stato: se l’esempio quasi scontato da richiamare è quello delle penetrazioni commerciali a tappeto, usate come arma non convenzionale da parte di organizzazioni statuali e non statuali – ad esempio, i fondi sovrani e gli hedge funds – vale anche la pena di soffermarsi sul rischio rappresentato dall’interessamento estero a specifiche attività particolarmente sensibili per i processi industriali e la ricerca tecnologica a livello nazionale: si pensi anche solamente alla produzione missilistica italiana e alle sue eccellenze, sistemi di comando e controllo e seeker, alla ricerca tecnologica in ambito aerospaziale, sperimentazione di materiali compositi e di processi produttivi tecnicamente avanzati, all’enorme potenziale strategico dell’industria energetica italiana e al tessuto intricato della piccola e media impresa, capace di sviluppare preziosissimo know how in ogni ambito della produzione manifatturiera.
Solo attraverso l’approfondita conoscenza e il continuo monitoraggio dei settori più sensibili si può assicurare quella crescita economica oggi indispensabile per reggere il confronto internazionale e tutelare la sicurezza della Repubblica.
Nella società dell’informazione e della rivoluzione virtuale, questo si traduce nella necessità di un’attenzione costante all’unico elemento davvero essenziale e insostituibile: il fattore umano. Tale osservazione si traduce nella centralità, ancora una volta, della humint in ambito intelligence e nella volontà di ribadire come i danni maggiori e le minacce più serie all’integrità dello Stato possano essere prevenuti grazie ad una comunità intelligence fondata sulla professionalità indiscussa delle sue donne e dei suoi uomini, che operano nell’ombra e raccolgono le informazioni indispensabili affinché il decisore politico possa esercitare le proprie funzioni nel più pertinente dei modi.
A tali considerazioni è essenziale affiancare la riflessione sui temi della cooperazione intergovernativa nella determinazione delle politiche industriali nazionali, quantomeno nei settori maggiormente sensibili, per i quali si richiede l’assunzione di responsabilità da parte del decisore politico, a cui spetta il compito di definire gli interessi strategici del sistema Paese e gli obiettivi da raggiungere nel medio – lungo termine. Con ciò si vuole affermare la funzione puramente ancillare del Sistema d’informazione, che opera su indirizzo e impulso dell’esecutivo anche nella sfera dell’intelligence economica.
Considerato, quindi, il contesto internazionale di riferimento e il novero degli strumenti a disposizione degli altri ordinamenti statuali, emerge con maggiore evidenza la necessità di concentrarsi sullo sviluppo e sulla realizzazione di strutture ad hoc, nella quali far convergere l’attività di monitoraggio sul campo da parte degli agenti operativi, il lavoro degli analisti e la riflessione scientifica. In tale osservazione si può intravedere il percorso intrapreso dal Sistema d’informazione per la sicurezza della Repubblica, nel quale il notevole sforzo di apertura e il progetto di strutturazione di una comunità di tecnici attraverso cui consolidare un “sistema intelligence nazionale”, sta producendo interessanti risultati.
Di certo in un settore tanto complesso è richiesto grande impegno da parte delle università e dei centri di ricerca, cui spetta il compito di favorire la riflessione scientifica e formare le menti migliori sui temi della sicurezza nazionale. La strada attualmente percorsa dal Sistema d’informazione è quella della cooperazione attraverso convenzioni e accordi di collaborazione, al fine di promuovere attività corsuali e seminariali che ottengano quale primo risultato il contatto diretto con il potenziale bacino di riferimento. E’ importante denotare, tra l’altro, che obiettivo indiretto di tali attività non sia semplicemente la possibile azione di reclutamento (che attira numerosissimi professionisti giovani e meno giovani) ma l’idea di porre le basi per un processo ben più ampio, quello della costruzione del “sistema” o della “comunità” di cui da tempo anche in Italia si discute. In tale sistema, la pluralità di funzioni e ruoli è certamente un elemento fondamentale.
Premessa, quindi, la necessaria molteplicità di attribuzioni e compiti da svolgere da parte del sistema nazionale, diviene opportuno soffermarsi sui tratti distintivi della competizione economica che, con riferimento al sistema produttivo italiano, assume i caratteri innovativi e sinora poco conosciuti dell’intelligence industriale.
E’ evidente che l’intelligence industriale possa essere complessivamente inquadrata come una species nel genus dell’intelligence economica, conservandone tutte le caratteristiche di fondo e distinguendosi per il novero delle attività incluse, tutte connesse al concetto di economia reale e scisse dal mondo della finanza.
Si può, infatti, comprendere come la più frequente chiave di lettura utilizzata nell’ambito della competizione economica sia oggi quella dell’analisi finanziaria dei mercati e che spesso questa tendenza comporti l’offuscamento di minacce o opportunità di immediata rilevanza per la sicurezza nazionale.
Se la stragrande maggioranza delle attività economiche italiane è statisticamente composta da piccole e medie imprese operanti nel manifatturiero e nella trasformazione di materie prime o semilavorate in prodotti finiti, è opportuno concentrarsi sul fatto che tale fitto tessuto imprenditoriale debba essere oggetto di attenzione per gli eventuali rischi di attacco esterno a quella che è una colonna portante del sistema economico nazionale, e, al contempo, per i possibili vantaggi derivanti dal sostegno opportunamente indirizzato alla competizione su mercati esteri. Sotto entrambi i profili si può leggere la necessità di una presenza costante e strutturata da parte dei servizi d’informazione, il cui ruolo diviene fondamentale nell’assicurare tutela da possibili rischi e supporto info-operativo nel confronto con competitori stranieri, che spesso possono contare sulla presenza efficace delle rispettive istituzioni di riferimento.
Il ruolo del Sistema d’informazione per la sicurezza della Repubblica nell’intelligence industriale si svela nel riferimento all’insieme di regole e procedure in materia di tutela delle informazioni classificate, che possono anche riguardare processi o prodotti ritenuti strategicamente rilevanti per la sicurezza nazionale e coincidenti con il concetto di “segreto industriale”, che può rappresentare la linea di tangenza tra l’universo istituzionale e quello privato.
Il ruolo del Sistema d’informazione è, quindi, quello di supportare le realtà industriali nel tutelare e custodire opportunamente informazioni in grado di fare la differenza con una concorrenza che è spesso di prezzo più che di qualità. Lo sviluppo di know how tecnicamente avanzato è il risultato di tale attività e può essere garantito solo se alla base vi sia un’adeguata struttura di controllo su individui (NOS) e attività industriali (NOSI). Da ciò si può capire perché la vulnerabilità o l’esposizione incontrollata a minacce esterne sia un ostacolo al rilascio delle autorizzazioni di sicurezza.
Accanto alla tutela delle informazioni classificate, in termini operativi è opportuno richiamare il tema del monitoraggio quotidiano contro possibili azioni fisiche di spionaggio, più frequenti di quanto si possa immaginare.
Vale la pena, tra l’altro, di osservare come questo fenomeno, ritenuto da molti residuale, sia stato il principale oggetto di attenzione negli anni della guerra fredda, quando era frequente l’espressione “spionaggio industriale” e ci si riferiva, per l’appunto, ai più svariati tentativi di intromissione fisica nelle realtà industriali (ad esempio, i cosiddetti “galleggianti”).
Oggi la figura dello spionaggio industriale prende la forma della cyber warfare e del cybercrime, mutando nella metodologia e lasciando invariato il fine ultimo dell’azione: affossare l’attività economica bersagliata attraverso il furto di brevetti e documentazione tecnica.
Sotto questo profilo vale anche la pena di richiamare l’allarme più volte lanciato da autorevole dottrina[2] circa la debolezza dei sistemi di information communication technology (ICT) nella stragrande maggioranza delle piccole e medie imprese italiane e la necessità di un pieno recepimento delle procedure basiche di sicurezza per i relativi sistemi informativi[3].
L’insieme delle circostanze richiamate determina il focalizzarsi dell’attenzione sulle modalità di interfaccia tra Sistema d’informazione e strutture di security aziendale.
A riguardo è sufficiente richiamare il concetto secondo cui il rapporto tra strutture aziendali preposte alla sicurezza e apparato intelligence istituzionale debba essere attivo e consolidato in prassi di connessione e collegamento che iniziano a diffondersi in tutta Europa (si pensi alla figura dello SLO – security liaison officer – della quale anche in Italia ci si è interessati grazie ai lavori di ricerca realizzati sotto la direzione del Prof. Roberto Setola dell’Università Campus Bio-medico di Roma[4]).
Vale anche la pena di osservare che, soprattutto nelle micro-realtà italiane fatte di aziende a carattere personale o familiare, spesso nemmeno si conosca il concetto di security e si affronti la competizione economica senza alcuna conoscenza dei sistemi di sicurezza, sia a livello fisico che a livello ICT. Se nei singoli casi questo fenomeno non produce danni o effetti negativi immediatamente percettibili, è giusto osservare come in termini globali e sistemici si esponga il fianco a un ampio spettro di rischi e pericoli.
Ancora una volta, dunque, il venir meno della separazione tra pubblico e privato, tra competizione strategica e economica, determina un crescente interesse sui temi della sicurezza, per la quale non è più possibile applicare l’equazione del “non core business”, come spesso si è detto fino a pochi anni fa.
Oggi la sicurezza industriale è core business e il suo impatto sulle attività economiche è fondamentale, sia per le realtà private che per l’universo istituzionale, tenuto ad assicurare la stabilità e l’integrità del tessuto economico nazionale, da cui dipende la sicurezza della Repubblica.
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