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Do you know the “silver economy”?

È il terzo maggiore settore economico al mondo. E ha grandi margini di crescita, eppure ancora pochi puntano a rispondere alle nuove esigenze dei “giovani anziani”

da Capitale Intellettuale

Manuela Soressi – Giornalista professionista

Chi ha visto (e considerato) gli “ex giovani”, quegli over 65enni che già nel 2013 erano quattro volte più numerosi dei 15-64enni? Nel 2060 saranno metà degli europei e il 20% degli abitanti totali del nostro pianeta, secondo le stime della Commissione Europea e dell’Oms. Con che impatto sulla società?

In termini economici ha determinato la nascita di quella che viene chiamata la “silver economy”, che oggi a livello planetario vale 7 trilioni di dollari e che è destinata a raddoppiare entro 5 anni, secondo le stime di Merrill Lynch e At Kearney. Ma poco se ne parla, soprattutto in Italia, dove l’invecchiamento della società genera spesso toni preoccupati: una popolazione più anziana comporta maggiori costi di sanità pubblica e più esborsi previdenziali nel bilancio statale, oltre a indurre un’onerosa rivisitazione delle strutture sociali, a cominciare da quelle familiari.

Ma, cambiando il punto di vista, questo scenario si fa differente: l’invecchiamento della popolazione diventa “giovanilizzazione” della terza età. È come se il prolungamento della vita media spostasse in avanti i limiti della maturità e quelli della vecchiaia, creando una nuova fascia di consumatori. È una nuova generazione che emerge, com’è accaduto con l’”adolescenza” qualche decennio fa. Una generazione che si sente giovane ma non vuole confondersi con i giovani perché vuole veder riconosciuta la propria identità.

Oggi non c’è, forse, un gruppo sociale tanto eterogeneo quanto quello degli “anziani”, che spazia dai brillanti e dinamici 60enni agli ultra 80enni per arrivare ai centenari. Un fatto evidente quando si osservano i 50-70enni di oggi, ben diversi da quelli di 20-30 anni fa, con un’intensa vita sociale, maggiore capacità di spesa, più tempo da dedicare allo shopping e più interesse a farlo. Secondo GFK Eurisko il 14% degli italiani tra i 55 e i 74 anni ha cultura medio-alta e una buona disponibilità di reddito.

Naturalmente, l’impatto sulla società dell’invecchiamento demografico ha conseguenze rilevanti sui sistemi sociali e sanitario, sul mercato del lavoro, sull’assetto economico ed ha una forte rilevanza a livello umano, culturale e sociale. Il tema è nell’aria da almeno un decennio: già nel 2002 l’Onu ha emesso una dichiarazione e un piano d’azione sull’invecchiamento, nel 2005 il network delle regioni europee ha realizzato la dichiarazione di Bonn sulla silver economy e nel 2008 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul futuro del Vecchio Continente in cui ha ribadito il ruolo della silver economy. Si arriva così al 2015 quando la Commissione Europea pubblica il suo primo paper su questo tema, nel quale sottolinea le opportunità economiche offerte dal settore, indicando in oltre 3 trilioni di euro la capacità di spesa degli europei over 65.

La “silver economy” considera la terza età come una risorsa, per la società e per l’economia: infatti, analizza e individua le opportunità sia in termini di nuovi mercati che di settori in crescita perché capaci di soddisfare il target degli ultracinquantenni. Una definizione anagrafica non univoca, ma emblematica perché pone l’accento sui “nuovi” anziani (definiti a livello internazionale “senior”), finora assenti come categoria dalla mappatura della società moderna. Infatti se, come hanno fatto alcuni ricercatori, si chiedesse quando inizia la terza età, gli addetti al marketing risponderebbero “50 anni” mentre i diretti interessati direbbero “70 anni”. A livello politico e istituzionale la “silver economy” diventa l’insieme di politiche, prodotti e servizi che possono concorrere a migliorare la qualità della vita, l’inclusione sociale e la partecipazione alla vita economica della popolazione matura. La silver economy ha un approccio “olistico” all’invecchiamento e alle opportunità che esso presenta, e guarda allo scenario futuro con politiche dedicate (ad esempio, per mantenere e aumentare le opportunità d’impiego o per migliorare la prevenzione sanitaria), con interventi mirati (come la progettazione di spazi adatti anche agli anziani) e con l’ausilio delle nuove tecnologie (come le case intelligenti e le auto senza conducente) per abbassare i costi che questi cittadini devono affrontare, migliorandone le condizioni di vita e contribuendo a rafforzare il loro ruolo nell’economia di mercato.

I cosiddetti “silver consumers” sono esponenti della generazione dei baby boomers, la prima cresciuta in un periodo di (quasi) ininterrotta crescita economica, di benessere diffuso e di caduta delle frontiere sia fisiche che culturali. Arrivati a doppiare la boa dei 50-60 anni, i figli del dopoguerra conservano una certa disponibilità economica, eredità degli scorsi decenni, e forti di questo non intendono rinunciare allo stile di vita che ne ha caratterizzato la prima metà della vita. Questa priorità emerge in modo chiaro dalle 30mila interviste a over 65enni di 60 Paesi condotte nel 2014 da Nielsen: il 78% vuole mantenere la forma fisica e mentale, il 58% trascorrere più tempo con la famiglia e il 37% mantenere un’attiva vita sociale. Il budget a disposizione viene in gran parte dedicato a nutrirsi in modo sano, a contrastare i problemi fisici e a garantirsi migliori cure mediche, ma anche a togliersi sfizi e assicurarsi piaceri.

In Italia, secondo una ricerca del 2014 emerge che possono essere considerati “senior” il 20% dei 13,3 milioni di cittadini 55-75enni: sono persone più colte e attive, molto attente a sé (fanno sport, consumano più probiotici e meno zuccheri, sale e grassi), lavorano il doppio rispetto ai loro coetanei, viaggiano il quadruplo, navigano sul web e leggono più del doppio. E poi, a differenza dei millenials – nati col low cost, disinteressati ai brand globali e critici verso le multinazionali – i baby boomers non si fanno problemi a mettere mano al portafoglio per ottenere il meglio di quello che il mondo può offrire. Ma la business community se n’è accorta?

ANNO 8 N.2

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