Giorgio Triani Sociologo e giornalista, insegna Comunicazione giornalistica e pubblicitaria presso l’Università di Parma, dove è coordinatore del Master su Web communication e social media, e Socioeconomia previsionale presso l’Università telematica San Raffaele di Roma.
Veloce ma anche lento non hanno quasi più senso: designano “stati dell’essere” sempre più inattuali. Perché ora si deve essere/procedere velocissimi o lentissimi. È il tempo degli “issimi”, del superlativo elevato a misura delle nostre esistenze quotidiane, visto che nelle piccole come nelle grandi cose la normalità, le cose intermedie sono sempre più desuete. Le classi medie, come le età e le stagioni di mezzo, ma più in generale ogni idea di “medietà” – come buon senso e pubblico decoro – sono sott’attacco. Incalzate da una generalizzata e crescente pulsione ad eccedere, ad infrangere le regole e le norme. Società XXl o over size sono definizioni che fotografano status attuali e trend di una fase sociale il cui tratto, forse più caratterizzante, è l’incapacità di trovare una sintesi, per dirla hegelianamente, tra tesi e antitesi che non potrebbero essere più contraddittorie, opposte, irriducibili. Nel mondo crescono infatti i ricchissimi (fanno testo le graduatorie annuali di Forbes sui billionaires), ma anche i poverissimi; gli obesi come i denutriti, nello stesso tempo in cui anche il clima procede fra picchi estremi e il rapido sviluppo delle nanotecnologie va di pari passo alla crescita dimensionale dei luoghi di consumo (ipermercati e super mall).
Ma se il fenomeno sembra inconciliabile come nei casi di schermi tv, tablet e smartphone, che indifferentemente aumentano e riducono i pollici, a conferirgli un tratto vieppiù sommovente e stordente è la velocità con cui avviene e che rende problematico, se non impossibile, essere up to date in grado di rispondere tempestivamente a richieste (sociali e individuali, aziendali e professionali) invariabilmente incalzanti, urgenti, ultimative. Fare presto, il prima possibile è diventato un riflesso condizionato al quale è difficile sottrarsi. Velocissimi, appunto: più veloci dei nostri pensieri. Perché il futuro è adesso. Anzi già ieri. Visto che ci vuole un attimo – col video giusto su Youtube – per fare boom, ma anche meno per fare sboom. Blockbuster, Blackberry, Kodak sono i casi più eclatanti di una lista che s’ingrossa ogni giorno di “vittime eccellenti” e declinanti (Nokia e Microsoft).
In tal contesto, invenzioni e innovazioni a ciclo continuo conferiscono alle nostre esistenze quotidiane un carattere di “novità permanente” che ormai quasi escludono la sorpresa. Certo sarebbe doveroso chiedersi se davvero presto la pizza ce la consegneranno a casa i droni o se le stampanti 3D stamperanno sia gli spaghetti (Barilla) sia i tessuti umani. Tuttavia è indubbio che in attesa della “realtà aumentata” dei Google glass stiamo già da tempo facendo i conti con la “realtà anticipata”: quella che vede proliferare in modo generalizzato le “anteprime”, di un libro, film, concerto, fiera e presentazione di prodotto. E che è ben riassunta dal claim pubblicitario di American Express che offre biglietti di grandi eventi “ prima ancora che siano in vendita, ancora freschi di stampa”.
Questa corsa a fare presto e prima è un’ossessione. Sempre più precoce: negli Usa sono state lanciate le business school per bambini (come 8 and Up e Girl startup 101). Ma è l’invocazione “santo subito” all’indomani della morte di Giovanni Paolo II a dirci che ormai non è più possibile “dare tempo al tempo”. Tutto preme e urge, infatti, senza più gerarchie di serietà e/o priorità: “prima il dovere e anche il piacere” assicura un annuncio di Vodafone. D’altra parte che ci si debba spicciare è un dato di fatto che poggia su alcuni dati ed esempi illuminanti. 820 anni ci vorrebbero in una media città europea per consumare/provare tutti i prodotti in commercio: ma andando veloci, twittando la vita. Perché il minuto che serviva al protagonista di Monthy Python per riassumere la Recherche di Proust rischia ora di essere percepito come un’eternità. In Inghilterra la collana Pop Science ha titoli come L’economia…La matematica….La religione in 30 secondi; in Italia si segnala Ch. Jarrett, Psycho in 30 secondi. 50 teorie fondamentali in mezzo minuto (Logos, Modena).
In questo senso l’”adesso!” del primo giro di primarie Pd di Matteo Renzi, che già sembra preistoria, è coerente con la promessa attuale di “riforme storiche a tutta velocità” e, più in generale, con la comparsa, annunciata da Advertising Age, del “moment marketing” e della “generation now”. Che procedono a forza di apps, 60 miliardi scaricate nel 2013, eliminando le attese e alimentando incontri e relazioni (speed dating) alla velocità di un Tinder, Twine e Grindr. #YOLO (you only live once, vivi una sola volta) è il mantra della generazione post-millennial.
La mobile society – 7 miliardi di connessioni e 5 miliardi di utenti unici mondiali nel 2103 – procede a tutta velocità, ovviamente, facendo strage di certezze, sicurezze che hanno accompagnato le generazioni nell’ultimo secolo. Da un giorno all’altro esperienze e oggetti “per la vita”, dal telefono al lavoro e al matrimonio, al pari di dischi, videoregistratori e cd, spariscono e s’inabissano; oppure si mettono in movimento, in mobilità. Nello stesso tempo in cui ciò che era impensabile, un museo aperto a mezzanotte o una palestra alle 3 del mattino, diventa possibile; e il temporary si manifesta non solo nello shopping, ma anche nelle esperienze affettive e di lavoro. Nel 2012 è stato battuto il record di contratti di lavoro di 1 giorno: 690 mila in 6 mesi.
Eppure, soprattutto in Italia, si fa una terribile fatica a rendersene pienamente conto. È così che la “disintermediazione” e l’”innovazione distruttiva” operate dal web fanno danni ancor più pesanti che negli altri paesi avanzati. Lo prova il dato delle aziende italiane fallite nel 2013: l’82% non era su internet. Ma non meno negativamente e sul piano culturale colpisce che sia Google a ricordarci che il web sarebbe una straordinaria opportunità per il made in Italy, nel turismo, nel food, nell’alto artigianato. Il problema però, drammatico, è che solo il 12% delle piccole-medie aziende italiane ha un sito di e-commerce.