Giuseppe Gagliano – Presidente CESTUDEC (Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis)
La guerra dell’informazione è la guerra che caratterizza le relazioni tra gli Stati più evoluti nel XXI secolo, l’era dominata dallo sviluppo accelerato delle nuove tecnologie, dalla globalizzazione dell’informazione e dalla sua quasi istantanea diffusione, dal potere sempre più influente dei media.
Parallelamente, i cambiamenti intervenuti in Europa nell’ultimo decennio del secolo scorso hanno rivelato una marcata evoluzione delle caratteristiche della guerra e del suo ambiente: a una minaccia unica, identificata e strutturata, sono subentrati molteplici rischi dai contorni indefiniti e senza precise probabilità di occorrenza e localizzazione. I combattimenti di massa su vasti teatri di operazioni con un gran dispiegamento di forze, ingenti perdite di uomini e tempi di reazione importanti, hanno lasciato il posto a probabilità di azioni molto diverse, talvolta a lunga distanza, su un terreno non abituale, contro un avversario imprevedibile, mentre le nuove tecnologie hanno ridotto quasi a zero i tempi di risposta e la preservazione della vita umana è diventata una preoccupazione importante in ogni conflitto, soprattutto per i Paesi avanzati.
In tale contesto, l’informazione non è più solo una necessità, ma è divenuta un elemento fondamentale dell’arte della guerra, un’arma che può permettere di vincere un conflitto, militare o economico, prima o durante le ostilità, talvolta senza sparare un sol colpo.
Di fronte a questi cambiamenti, che impongono una vera e propria rivoluzione culturale, Paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno proceduto a rielaborare le proprie dottrine: così, la strategia americana presenta la guerra dell’informazione come un concetto difensivo dalle conseguenze puramente strumentali, mentre i britannici, pur non avendo completato la propria riflessione, adottano un approccio più ampio, ritenendo che la guerra dell’informazione possa sostituirsi alla guerra militare.
La guerra psicologica è una delle forme più antiche di guerra dell’informazione, e forse la più sofisticata. Affidandosi innanzitutto all’intelligenza umana, essa comprende azioni che mirano a contribuire al successo delle operazioni militari, a preservare gli eserciti da qualsiasi attacco al morale delle truppe e al sostegno della nazione, così come a ottenere il supporto dell’opinione pubblica nazionale e internazionale.
Tuttavia le crisi e i conflitti recenti hanno conferito alla guerra psicologica una nuova dimensione: i conflitti nel Golfo, in Ruanda e in Bosnia hanno mostrato che essa non solo non può essere esclusa da un conflitto moderno, ma che addirittura può essere un fattore di successo, grazie in particolare al controllo dei mezzi di comunicazione.
Iscrivendosi in una strategia politico-militare che ricopre tutti gli aspetti e tutti i livelli del conflitto, e agendo tramite la disinformazione, l’intossicazione, l’inganno, l’interdizione e la propaganda, la guerra psicologica utilizzerà tutti i mezzi, dai più classici ai più sofisticati, persino quelli più insoliti. Sarà utilizzata nei confronti di un avversario multiforme, in scontri di natura molto diversa – combattimento convenzionale, lotta al terrorismo e alla sovversione, mantenimento della pace – ma anche verso l’opinione pubblica, per confortarla o manipolarla. Infine, si dispiegherà su un campo di battaglia di forze congiunte e il più delle volte multinazionali.
Di conseguenza, l’arma psicologica sarà uno dei principali strumenti della guerra dell’informazione, in particolare di quella dei media. Potrà trovare impiego in azioni più specifiche, come le operazioni speciali, e resterà un mezzo efficace di condizionamento delle folle. Tuttavia, dovrà essere preparata, appoggiarsi su un’organizzazione sempre operativa e strutturata, ed essere condotta da personale e organismi specializzati, poiché l’improvvisazione non sarà più ammessa.
Gli aspetti operativi e tattici della guerra dell’informazione vengono affrontati prendendo come punto di riferimento le ambizioni americane in materia, dal momento che la presenza degli americani in tutto il mondo rende i loro sistemi dei punti di passaggio obbligatori.
I sistemi di comunicazione civili sono ormai giunti a un livello di prestazioni che fino a poco tempo fa era riservato esclusivamente alle forze governative, ai servizi di intelligence ed alle forze armate. Ciò provoca un effetto di massa che conduce a dei costi d’accesso e, se necessario, d’acquisizione nettamente inferiori rispetto a quelli dei sistemi militari tradizionali. Così, riconoscendo che le ridotte capacità delle forze armate dopo la fine della Guerra Fredda non permettono più di disporre di sufficienti capacità militari autonome, il cui costo sarebbe proibitivo, gli americani hanno basato il loro progetto sullo sfruttamento delle capacità altrui, ma la cui libera disposizione, soprattutto in caso di crisi, sfugge loro.
Pertanto, anche se è prevista la conservazione di alcune capacità autonome puramente militari, la realizzazione di sistemi informativi di difesa e intervento mondiali dipendenti quasi totalmente dai sistemi civili, crea di fatto una vulnerabilità che è necessario tenere in considerazione in caso di crisi o addirittura di conflitto aperto. Inoltre, data la sua dimensione difficile da controllare, il volume di informazioni trattato e diffuso dai grandi sistemi pone dei problemi specifici ancora poco noti.
Tuttavia, in alcuni ambiti specifici, come le tecniche di comunicazione, il ricorso a tecnologie civili utilizzate quotidianamente, e dunque ben conosciute, risulta vantaggioso. E lo è anche in alcuni settori finora strettamente riservati ai militari, come dimostrano la localizzazione geografica tramite GPS e il satellite per l’osservazione ottica.
Inoltre, lo sforzo annunciato dagli americani in materia di sistemi informativi deve essere messo in relazione con la presenza dominante degli anglosassoni nelle strutture di comando delle organizzazioni alleate: ciò, infatti, conferisce loro un certo controllo delle informazioni che può rivelarsi dannoso per gli interessi dei loro alleati. Pertanto deve essere fatto uno sforzo per assicurare progressivamente una presenza nazionale italiana più importante in questo settore al fine di proteggere meglio gli interessi del Paese.
Infine, anche se il progresso tecnologico prospetta un campo di battaglia più trasparente, dal punto di vista dell’osservazione, della localizzazione e delle comunicazioni, non si deve dimenticare che lo sfruttamento ottimale di queste capacità richiede un’attenta e adeguata preparazione dei combattenti.
La guerra industriale dell’informazione è quella che devono condurre gli attori economici per controllare la sfera informativa. Il nuovo ordine concorrenziale definisce il loro quadro d’azione, che diventa molto conflittuale: gli Stati, infatti, intervengono per conquistare i mercati mondiali, mettendo in discussione la validità del principio liberale della libera concorrenza; i flussi finanziari mondiali sono gravemente disturbati dal denaro sporco; infine, amplificata dai media, una nuova forma d’aggressione minaccia le imprese nella loro immagine.
Per questo, la guerra dell’informazione è diventata inevitabile e si esercita secondo le tre funzioni di appropriazione (intelligence), interdizione (limitazione dell’accesso all’informazione) e manipolazione (intossicazione).
L’intelligence economica è una risposta a queste nuove situazioni. Proponendo una riorganizzazione delle strutture attorno alla funzione informazione/intelligence, porta a dei cambiamenti significativi sia nel sistema decisionale sia nella gestione delle risorse umane. Anche se società specializzate e strumenti specifici possono aiutare in questo cambiamento, l’uomo, fonte e fruitore dell’informazione, resta al centro della questione: è una garanzia di efficienza.
Evoluzione, adattamento, rivoluzione potrebbero essere le parole chiave che caratterizzano la guerra dell’informazione.
Evoluzione, perché questa guerra è nata con l’uomo che ha sempre cercato la conoscenza dell’altro e ha cercato di ingannarlo quando era necessario, utilizzando la sua intelligenza e qualsiasi mezzo creato dal suo ingegno. Dunque, stratagemma all’inizio, potrebbe divenire guerra totale domani. Verificandosi in un mondo in cui il tempo e lo spazio non avranno più limiti, e in tutti i settori dell’attività umana, senza distinzione tra pace e guerra, essa imporrà la definizione di una strategia globale politico-militare, offensiva e difensiva.
Adattamento, all’ambiente, all’avversario, alle nuove tecnologie, perché è chiaramente una costante della guerra. È il movimento indispensabile in un universo in cui l’informazione sarà istantanea e il tempo di reazione quasi nullo.
Infine, rivoluzione per i politici o i militari, che non hanno la cultura dell’informazione e ancor meno la volontà di utilizzarla come arma di guerra e integrarla così nella strategia di difesa nazionale.