Cristiano Manfrè Intermediario finanziario, docente di economia e finanza presso la Loyola Marymount University di Los Angeles, Presidente Italy-America Chamber of Commerce West (IACCW)
Con il dipanarsi della crisi economica dell’Eurozona e soprattutto in concomitanza con le recenti traversie vissute dalla Grecia diventa legittimo farsi un paio di semplici domande: perché paesi differenti adottano monete differenti? Si tratta semplicemente di una questione politica relativa alla sovranità di una nazione o esistono motivazioni specificatamente economiche? Non si potrebbe per esempio adottare una moneta unica dall’ Eurasia alle Americhe? Ciò non renderebbe gli scambi commerciali più efficienti a beneficio della tanto agognata crescita economica? La risposta a queste domande in linea di massina è no e in questo articolo intendo spiegarne il motivo utilizzando la c.d. teoria dell’Area Valutarie Ottimale[1]. Vedremo che in realtà la moneta risponde a delle chiare necessita economiche e di allocazione delle risorse di un paese con lo scopo di favorirne la crescita e di assorbirne gli urti congiunturali.
In economia una parte della letteratura che si occupa di questo tipo di problemi viene appunto chiamata Area Valutaria Ottimale (AVO) conosciuta anche come Regione Valutaria Ottimale (o in inglese Optimum Currency Area – OCA). In genere un’area di valuta ottimale corrisponde ad una zona geografica all’interno della quale è appunto “ottimale” avere una moneta unica e una politica monetaria omogenea. Va da se che tale territorio potrebbe corrispondere ad una nazione, a conglomerati geografici di diversa natura che possono comprendere molte nazioni oppure aree più ristrette come le nostre regioni amministrative. Vieppiù, bisogna notare che la vicinanza geografica di due paesi a volte ha poco a che vedere con la possibilità che la creazione di un’area di valutaria comune sia ottimale. Infatti teoricamente non è detto che la Germania sia più adatta ad un’area di valuta unica con l’Italia piuttosto che non lo stato della California oppure con il Brasile. La questione diventa particolarmente attuale e rilevante quando si analizza la situazione dell’Eurozona dove al momento ben ventiquattro paesi adottano la stessa moneta.
Come ci si può ragionevolmente aspettare, l’uso di una moneta unica porta vantaggi e svantaggi ed è il prevalere degli uni sugli altri che dovrebbe secondo la AVO determinare se la creazione di un’area valutaria è possibile ed ottimale. Quando si discute di questi temi le considerazione ideologiche spesso si sovrappongono a ragionamenti di natura economica a discapito di una analisi oggettiva e di tipo scientifico. Per questo motivo e per quanto possibile è mia intenzione scongiurare qualsiasi considerazione che non sia di tipo tecnico-economico.
Partiamo dai vantaggi. Chiaramente il raggruppamento di diversi paesi all’interno di un’area valutaria unica può offrire la riduzione dei costi di transazione, l’eliminazione del rischio valutario, l’aumento di scambi commerciali ed un incremento della competitività perché evidentemente i prezzi sono più facili da comparare. Inoltre, una moneta unica può spesso offrire un costo del capitale inferiore dato che un’area valutaria che comprende più paesi è un modo semplice ed efficace per diversificare il rischio economico e finanziario e consentire così ceteris paribus tassi d’interesse inferiori. È risaputo che all’interno dell’eurozona questi vantaggi si sono concretizzati soprattutto nei primi anni di adozione dell’Euro ,che vanno dal 2000 al 2007, anche se l’incremento degli scambi commerciali intraeuropei rimase al di sotto delle aspettative iniziali. È con all’inizio della grande recessione del 2008 che l’Eurozona inizia a dare segni di debolezza.
Parliamo ora degli svantaggi dell’adozione di una moneta unica che sono essenzialmente due:
- la perdita di flessibilità in quanto non si ha più la possibilità di variare il tasso di cambio tra valute;
- l’impossibilità di adottare politiche monetarie ad hoc in territori differenti.
Ma soffermiamoci per un momento sulla prima questione. Perché mai dovemmo essere in grado di variare il tasso di cambio tra due monete? Il motivo principale è la presenza di cicli economici differenti. In genere una recessione o un surriscaldamento economico all’interno di un paese (che sia teoricamente anche un’area valutaria ottimale) non crea enormi problemi dato che è possibile reagire con un’unica politica monetaria a beneficio dell’intera economia. Nel caso di paesi differenti che vengono colpiti da congiunture positive o negative in maniera asincrona, il riequilibrio economico all’interno di un’area valutaria plurinazionale diventa molto più complesso.
Ipotizziamo per esempio che nel paese che chiamiamo Blu vi sia un rallentamento economico mentre nella nel paese che chiamiamo Giallo sia in corso un’espansione economica. Notoriamente in presenza di valute differenti ed in condizioni di libero mercato, la moneta del paese Blu si svaluterebbe mentre quella del paese Giallo si apprezzerebbe creando dinamiche di riequilibrio automatiche ed a costi limitati. Questo perché la svalutazione della moneta del paese Blue corrisponde in realtà ad un abbassamento generale dei prezzi e dei salari; cosa che altrimenti si dovrebbe attuare un prezzo alla volta ed un contratto di lavoro alla volta.
Nel caso che i paesi Blu e Giallo siano parte di un’unione monetaria, il meccanismo del cambio valutario non sarebbe più disponibile e quindi un aggiustamento di prezzi e salari dovrebbe essere attuato in modi alternativi. Se è vero che i prezzi in realtà si modificano con una certa velocità (equilibrio tra domanda e offerta), non si può dire la stessa cosa per i contratti salariali i quali sono peculiarmente difficili da modificare al ribasso. L’ovvio risultato è che nel Paese Blu si creano pressioni deflazionistiche ma l’unico modo per consentire l’abbassamento dei prezzi è la riduzione dei costi. Ciò avviene con licenziamenti ed un livello di disoccupazione elevato dato che i nuovi esoneri di lavoratori si aggiungono alle dinamiche recessive già precedentemente in corso
Teoricamente ci possono essere soluzioni al problema della mancanza di flessibilità all’interno di un’unione monetaria tra diversi paesi, ma spesso queste soluzioni sono costose e di difficile attuazione. Questo perché una parziale soluzione del problema ha a che vedere con la mobilità dei fattori di produzione ed in particolare il lavoro. Utilizzando l’esempio di cui sopra, se il Paese Blu si trova in recessione una possibile alternativa per coloro che perdono il lavoro è di spostarsi nel Paese Giallo che è in crescita. Va da se che la mobilità del lavoro può essere difficile in presenza di paesi con lingua e tradizioni differenti dato che lo spostamento dal paese Blu a quello giallo comporta costi aggiuntivi sia concreti che intangibili (traslocare, imparare una nuova lingua, lasciare amici e parenti, adattarsi ad una nuova cultura quando magari non si è più giovanissimi, ricevere la pensione, ecc.). Un altro ingrediente fondamentale per una soluzione all’interno di un’unione monetaria unica è che il Paese Blu riceva da parte del Paese Giallo sussidi, pensioni ed assistenza sociale senza un aumento della tassazione che altrimenti andrebbe ad aggiungersi alla pressione recessiva e deflazionistica.
Torniamo ora al secondo svantaggio menzionato sopra e cioè L’impossibilità di adottare politiche monetarie differenti. In presenza di una recessione se i paesi Blu e Giallo avessero la propria moneta nel Paese Blu la banca centrale attuerebbe politiche monetarie espansive mentre la banca centrale di Giallo farebbe l’esatto opposto. Ma in un’area valutaria comune una banca centrale (unica) potrebbe attuare una sola politica monetaria e quindi finirebbe per svantaggiare almeno uno dei due paesi. Infatti, in questo caso una politica monetaria espansiva porterebbe il paese Blu fuori dalla recessione e il Paese Giallo ad una situazione inflazionistica. Al contrario, una politica monetaria restrittiva consentirebbe una crescita equilibrata del paese Giallo ed il permanere di condizioni recessive nel paese Blu.
È chiaro che lo scenario presentato sopra può essere facilmente sovrapposto alla situazione dell’Eurozona dove si hanno più di due paesi e quindi una situazione estremamente complessa. Da questo breve esempio traspare che i vantaggi e svantaggi di un’area valutaria unica devono essere soppesati con attenzione e messi a confronto con la possibilità che nel tempo paesi differenti possano attraversare cicli economici differenti con tempistiche discordanti.
La teoria dell’AVO propone di misurare vantaggi e svantaggi in modo analitico cosicché si possa decidere per l’adozione di una moneta unica solo quando i vantaggi sono superiori ai costi. Se ne deduce che la scelta di una moneta unica e la creazione di are valutarie ottimali non possono prescindere da considerazioni e valutazioni rigorosamente economiche. Ignorare questi elementi a favore di analisi politico-ideologiche e benefici millantati, ma che on hanno solide basi analitiche, può portare a crisi economiche gravi e durature che certo rassomigliano a quella in cui si trova ormai a partire dal lontano 2008 una grossa porzione dell’Eurozona.
image @pixabay-geralt-76019_1920
[1] Il concetto di area valutaria ottimale fu inizialmente proposto dal premio NobelRobert Mundel nei primi anni ‘60.