Casa OrganizzazioneLegal La cassa integrazione nei periodi di crisi.

La cassa integrazione nei periodi di crisi.

I diversi approcci alla crisi previsti dall’Ordinamento giuridico italiano: la cassa integrazione guadagni ordinaria, straordinaria e i contratti di solidarietà difensivi.

da Capitale Intellettuale
Francesca Ghetti – Avvocato Giuslavorista

Nell’analisi delle forme d’integrazione salariale, previste per affrontare le diverse tipologie di crisi, non si può prescindere da una complessiva riorganizzazione aziendale  che prepari l’azienda a cogliere le opportunità del mercato.

Nel riprendere le fila del discorso iniziato nel precedente numero della rivista in ordine agli strumenti che attualmente il nostro ordinamento offre per la gestione del personale in esubero nei casi di contrazione, sospensione, riorganizzazione o cessazione dell’attività, solo brevemente si ricorda come, già si fosse precisato che il nostro Ordinamento prevede due possibili approcci al problema crisi e costo del lavoro, a seconda della natura reversibile o  irreversibile della crisi.

Si verranno oggi ad analizzare, seppur nei tratti più generali, quelle forme di integrazione salariale caratterizzate dal presupposto di una crisi aziendale più o meno lunga e dalla conseguente previsione di ripresa produttiva: cassa integrazione guadagni ordinaria (CIG), straordinaria (CIGS) e contratti di solidarietà difensivi (CDS).

La funzione di tutti questi strumenti è quella di integrare la retribuzione persa dai lavoratori a seguito della sospensione dal lavoro o, nel caso dei CDS, della riduzione dell’orario di lavoro.

Nel contempo essi permettono al datore di lavoro di ridurre temporaneamente i costi del personale, di non licenziare i lavoratori e di impiegarli nuovamente una volta superata la crisi.

Strumento alternativo alla Cassa Integrazione è il distacco dei lavoratori presso un’altra azienda del gruppo.

La Cassa Integrazione guadagni ordinaria è lo strumento cui ricorrere quando la situazione di crisi è caratterizzata dalla temporaneità della crisi e certezza della ripresa dell’ attività produttiva.

In questo caso il datore di lavoro può sospendere i lavoratori dall’ attività lavorativa ma DEVE ricorrere alla CIG (in difetto risponderà di tasca propria della integrazione salariale).

Le cause che possono integrare la crisi sono crisi temporanea di mercato, ragioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o ai lavoratori ovvero forza maggiore.

E’ comunque l’INPS che decide se  vi è o meno il requisito della crisi temporanea.

Nella scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione il datore di lavoro deve comportarsi secondo correttezza e buona fede (non si deve dunque rispettare la regola prevista per la mobilità collettiva).

Tale forma di ammortizzatore sociale è prevista, però, solo per il settore industriale e le sue lavorazioni accessorie (indipendentemente dal numero di lavoratori occupati in azienda).

Sennonché…non è tutto oro quel che luccica: l’impresa che beneficia dell’intervento della CIG deve, infatti, versare un contributo aggiuntivo in percentuale sulle integrazioni erogate dall’ INPS.

La Cassa Integrazione guadagni Straordinaria e i Contratti di solidarietà difensivi sono i due strumenti con i quali il datore di lavoro può gestire l’eccedenza di personale quando la crisi si appalesi di lunga durata.

La cassa integrazione straordinaria presuppone la sussistenza di una crisi aziendale non temporanea, ovvero di un processo di ristrutturazione riorganizzazione o riconversione aziendale, ovvero anche l’apertura di procedure concorsuali.

A differenza della cassa integrazione ordinaria, sono ammesse a questa forma di ammortizzatore sociale solo le imprese che occupano più di quindici dipendenti.

I dipendenti sono posti in cassa integrazione in modo alternato in modo che la minor retribuzione consistente nell’ integrazione salariale non gravi solo alcuni (c.d. rotazione).

Anche per la CIGS l’azienda deve provvedere ad una contribuzione addizionale.

I contratti di solidarietà difensivi sono invece nient’altro che accordi con i sindacati volti a comprimere le ore lavorate. Anche in questo caso spetta al lavoratore un’ integrazione salariale che, nello specifico, è pari al 60% della retribuzione persa a seguito delle ore non lavorate.

Se, comunque, anche dopo il passaggio attraverso questi ammortizzatori sociali la crisi non passa occorrerà, all’imprenditore, mettersi nell’ottica di ridurre il personale.

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ANNO 2 N.1

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