Casa OrganizzazioneLegal D.Lgs 231/2001: la responsabilità amministrativa di società ed enti

D.Lgs 231/2001: la responsabilità amministrativa di società ed enti

Quando i comportamenti illeciti dei singoli individui sono generati all’interno dell’azienda, e in qualche modo sono funzionali ad essa, la responsabilità potrà essere dello stesso e non solo della singola persona fisica.

da Capitale Intellettuale

Francesca Ghetti Avvocato giuslavorista

“La disciplina della responsabilità cosiddetta amministrativa (recte penale) delle società e degli enti continua ad esser al centro del dibattito istituzionale anche perché il “catalogo” dei reati che ne determinano l’insorgere è stato oggetto di un costante e progressivo ampliamento.”

Fino all’entrata in vigore del D.Lgs 8 giugno 2001 n. 231 (d’ora innanzi decreto 231) il nostro ordinamento non contemplava forme dirette di responsabilità per gli enti, mentre con il decreto 231 il legislatore ha trovato la strada per punire anche quei soggetti, diversi dalle persone fisiche, che pure però hanno compiuto un illecito e che dallo stesso hanno tratto vantaggio.

Per ottenere questo risultato si è in un certo senso dovuto “aggirare” il principio sancito dall’art. 27 della Costituzione, secondo il quale la responsabilità penale è personale  (principio dal quale discendeva, appunto, l’impossibilità di configurare una responsabilità penale a carico delle società) che veniva interpretato in senso restrittivo come responsabilità della persona fisica e che, peraltro, serviva anche per sostenere la questione di giustizia “sostanziale” ritenendosi di fatto iniquo che la sanzione penale irrogata nei confronti della società, colpendo il patrimonio sociale, di fatto venisse a danneggiare tutti i soci compresi quelli completamente estranei all’illecito.

Il Decreto 231, dunque, è stato lo strumento con il quale si è inteso adeguare il sistema repressivo al nuovo scenario economico, ritenendosi che solo sanzionando il comportamento illecito del soggetto economico fosse possibile contribuire alla creazione di un sistema di regole a garanzia di una corretta concorrenza sui mercati.

In buona sostanza, in virtù di tale norma, allorquando i comportamenti illeciti dei singoli individui sono generati all’interno dell’ente ed in qualche modo funzionali ad esso la responsabilità potrà essere dello stesso e non solo della singola persona fisica.

Tale nuova forma di responsabilità non è stata, tuttavia, e come ovvio, estesa a tutti i reati previsti e puniti nel nostro ordinamento bensì solo alle fattispecie delittuose che possono venire in rilievo in ipotesi di questo tipo: dall’iniziale riferimento ai reati ed illecito nei rapporti tra privati e PA, alla indebita percezione di finanziamenti ed alla corruzione, si è via via esteso il campo di operatività anche ai reati societari e finanziari, al market abuse, al falso in bilancio, per concludere con i reati contro l’ambiente ed informatici oltre che l’infibulazione e la sicurezza sul lavoro.

E’ importante sottolineare come, essendo ovviamente impossibile immaginare una forma di “detenzione carceraria” dell’ente, le pene sono sempre di carattere “amministrativo” ma, proprio con il fine di raggiungere l’obiettivo sperato, sono altissime e dunque realmente in grado di mettere in ginocchio un’azienda: spaziano dal commissariamento  alla sospensione dell’attività, dalla revoca dei finanziamenti ed agevolazioni al divieto di accettare commesse pubbliche.

In tale contesto normativo, secondo un atteggiamento tipicamente “all’italiana” in questi primi anni di operatività della norma, poco è stato detto dalla giurisprudenza: il che sta forse a significare che, per ora, ai magistrati è risultato più realistico muoversi su terreni maggiormente conosciuti.

Fatto è che, come conseguenza, essendo stato scarso il dibattito, il punto critico è  rimasto il “Modello di Organizzazione Gestione e controllo”: l’aspetto esimente concesso dal decreto per la società che adotta idoneo modello è, infatti, il punto centrale di ogni ragionamento.

In estrema sintesi (rimettendo una eventuale analisi più approfondita ai numeri seguenti) adempiere agli obblighi legislativi previsti e puniti da tale norma richiede di :

– adottare, prima della commissione del fatto, modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire reati;

– costituire un organismo dell’ente con compito di vigilare efficacemente sul funzionamento e sull’osservanza di modelli e curare il loro aggiornamento;

– definire i modelli di organizzazione e gestione;

– essere in grado di evitare la commissione del reato (a meno che non avvenga mediante l’elusione fraudolenta dei modelli stessi);

– individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi tali reati;

– prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;

– individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di reati.

Tali adempimenti devono, ovviamente, poter essere svolti senza danneggiare l’attività aziendale per cui è necessario, e in ciò sta la bravura del team di professionisti incaricati,  predisporre strumenti che permettano di raggiungere il risultato senza gravare in modo eccessivo i processi aziendali riducendo al contempo il costo correlato agli adempimenti stessi.

Si tratta dunque di definire delle griglie entro cui ogni reparto deve muoversi, prevedendo procedure e filtri di controllo concentrici in modo tale che, se rispettate, il risultato finale può dirsi con certezza esente da reato.

Detto altrimenti l’obbligo dell’ente, per essere esente da responsabilità penale per il fatto illecito commesso da un suo dipendente, è di avere fatto tutto il possibile per prevenire ed evitare la commissione del reato.

ANNO 2 N.2

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