Elisa Venturini Dottore Commercialista, Revisore Legale Contabile
Con l’introduzione della disciplina del patto di famiglia anche l’ordinamento italiano si è munito di uno strumento volto a facilitare il delicatissimo passaggio generazionale nelle imprese. Il trasferimento della proprietà dell’azienda, per sopraggiunta morte dell’imprenditore, diviene uno dei momenti di maggiore debolezza per le imprese e soprattutto per le realtà di tipo familiare peraltro molto diffuse nel contesto italiano.
La frequente frammentazione delle quote societarie tra gli eredi (seppur e in rari casi arginata dalla presenza di un testamento), la difficoltà per gli eredi stessi di imparare a essere soci e imprenditori, i possibili conflitti in termini di strategie imprenditoriali degli eredi, e non ultime le capacità individuali di ciascun erede, possono mettere a serio rischio la vita e la continuazione dell’impresa, con un danno per la ricchezza familiare, ma anche una conseguente responsabilità che ricade sul sociale in riferimento alla potenzialità aziendale di mantenere e creare lavoro.
La L. 55/2006, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 1 marzo 2006, ha introdotto gli articoli dal 768-bis al 768 octies del codice civile prevedendo il patto di famiglia come “il contratto con cui compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti”.
La norma introdotta è di enorme rilevanza essendo un istituto giuridico volto alla determinazione del soggetto familiare prescelto quale successore dell’imprenditore nella gestione dell’azienda, garantendo la continuità aziendale e permettendo in alcuni casi agli altri legittimari di beneficiare dei risultati societari senza ingerenze nella gestione.
Il patto di famiglia può essere stipulato unicamente a favore di figli, nipoti o pronipoti escludendo qualsiasi altro soggetto, quali ad esempio il coniuge, il convivente more uxorio o il fratello dell’imprenditore, e può avere ad oggetto unicamente aziende o quote che permettano di determinare le scelte societarie. Nel caso di partecipazioni societarie si dovrà dare una interpretazione estensiva nel senso di poter ritenere oggetto del patto di famiglia anche quote sociali di minoranza quando, pur essendo tali, divengano predominanti rispetto alla frammentazione del capitale sociale.
Prima dell’introduzione di detta norma, il divieto dei patti successori (previsto dal nostro ordinamento dall’art. 458 del c.c.) e il contenuto dell’art. 536 del c.c. limitavano all’imprenditore – comunque nell’incertezza – la possibilità di disporre in modo definitivo prima della morte (se non per testamento seguendo le regole della successione) del proprio patrimonio. Molte delle operazioni straordinarie proposte dai consulenti con la finalità di disporre del patrimonio di un soggetto a favore di un suo discendente ante morte, rischiavano un disconoscimento, sottoponendo il discendente a possibili azioni di riduzione in sede di apertura della successione ereditaria.
L’istituto del patto di famiglia infatti si interseca e si affianca al diritto successorio tanto da esserne una eccezione; una corretta predisposizione del contratto necessita di conoscenze specifiche non solo nel campo di diritto commerciale-societario, ma anche in materia di successioni, di donazioni, di diritto di famiglia (nel caso al patto partecipino anche minori), di strumenti quali il testamento, il fondo patrimoniale e di tutti gli istituti utilizzabili per la protezione e per la veicolazione del patrimonio personale senza potersi escludere dall’overview l’impatto fiscale connesso ad ogni strumento.
La complessità del patto di famiglia si comprende anche dalla sua definizione in quanto è un contratto (ma non esclude e non è un negozio testamentario), plurilaterale (ma garantisce gli eredi sopraggiunti eventualmente in seguito), a titolo gratuito (ma non è una vera e propria donazione), che avviene inter vivos (e quindi prima della morte dell’imprenditore con effetti traslativi immediati della proprietà), ma che ha effetti anche mortis causa (in quanto ha effetti sulle quote di legittima dei partecipanti al patto).
Quale contratto plurilaterale, affinché non possa essere dichiarato nullo, deve essere concluso per atto pubblico e alla presenza di tutti “coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione” dell’imprenditore. All’atto pubblico dovranno obbligatoriamente essere presenti il coniuge (non il convivente more uxorio, sì invece il coniuge separato senza addebito), il figlio (o il diverso o i diversi discendenti) che riceverà l’azienda o le partecipazioni societarie, gli eventuali fratelli di quest’ultimo (figli legittimi, legittimati, naturali o adottivi dell’imprenditore) e in caso di premorienza i discendenti di questi e così via a seconda della situazione familiare dell’imprenditore che dovrà essere obbligatoriamente rappresentata al momento della stipula del patto di famiglia.
Quale contratto a titolo gratuito attribuisce l’azienda (o le quote) al discendente (figlio o nipote o più di essi) individuato dall’imprenditore in colui o coloro che meglio potrebbero garantirne la continuità, obbligando lo stesso a liquidare gli altri familiari che avrebbero di diritto concorso in sede di successione quali legittimari, senza nulla riconoscere all’imprenditore.
Nella prassi, soprattutto quando i beneficiari magari di giovane età non possiedano mezzi economici tali da far fronte alle liquidazioni dovute, si assiste a patti di famiglia ove l’imprenditore liquida, direttamente e tramite l’utilizzo di altri beni personali, gli altri partecipanti al contratto. In tal caso al patto di famiglia si affiancherà una vera e propria donazione che imputerà alle rispettive quote di legittima i valori dichiarati nell’atto mentre il patto di famiglia dovrà rispettare tutte le previsioni normative dettate dall’istituto della donazione ponendo attenzione alla tipologia dei beni assegnati in uscita dal patrimonio dell’imprenditore, evitando possibili problematiche future (in particolare riguardo gli immobili).
È importante sottolineare come i partecipanti al patto non assegnatari dell’azienda e/o delle quote possano rinunciare – proprio già in atto e assolvendo l’imposta fissa di registro – alla liquidazione della somma a loro spettante, corrispondente al valore delle quote di legittima; nella pratica infatti, accade spesso che il coniuge in sede di stipula del patto rinunci alla quota a lui spettante, svincolando in tal modo ad esempio l’unico figlio aggiudicatario dell’azienda – e/o delle quote – dall’obbligo di liquidazione di qualsiasi somma.
Il patto di famiglia ha il notevole privilegio di essere un istituto blindato (certo e quindi stabile) che non lascia spazio a future aleatorietà; infatti tutto quanto ricevuto dal beneficiario non è soggetto a collazione o riduzione potendo essere impugnato unicamente per vizi di consenso (quali consenso dato per errore, estorto con violenza, carpito con dolo), ma nel termine ultimo di un anno dalla stipula dell’atto notarile.
Resta inteso che a norma dell’art. 768-sexies del codice civile, all’apertura della successione dell’imprenditore, “il coniuge e gli altri legittimari sopravvenuti che non abbiano partecipato al contratto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma loro spettante quale quota legittima aumentata degli interessi legali”.
Pertanto ogni legittimario anche non esistente o noto al momento della stipula del patto potrà solo chiedere la liquidazione del valore a lui spettante senza intaccare la vita dell’azienda già definitivamente trasferita dal patto di famiglia. Si pensi ad esempio al sopraggiungere di un figlio naturale nato dopo la stipula del patto oppure nato prima ma di cui ignorava a quel tempo l’esistenza anche l’imprenditore stesso, o il sopraggiungere di un coniuge dell’imprenditore.
Il patto di famiglia permette quindi, con trasparenza e senza discriminazioni di sorta, il trasferimento dell’azienda o del pacchetto societario durante la vita dell’imprenditore che dovrà cedere la gestione diretta dell’impresa prima della sua morte. Questo è quindi un passaggio individuale interiore complesso che denota però lungimiranza nel saper individuare la futura guida dell’impresa di famiglia e quindi grande carisma e responsabilità verso gli eredi, ma anche verso la società tutta nel garantire il futuro dell’impresa.
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