Casa Management Intelligence economica: una nuova arma al servizio della competitività dello Stato, delle imprese e dei territori nell’interpretazione di Eric Denécé.

Intelligence economica: una nuova arma al servizio della competitività dello Stato, delle imprese e dei territori nell’interpretazione di Eric Denécé.

Gli scontri tra Stati sono oggi essenzialmente di natura commerciale e la conquista dei mercati ha preso il posto delle conquiste territoriali. Siccome non esiste un’economia nazionale prospera senza imprese redditizie, lo Stato deve incoraggiare le sue imprese a innovare, a esportare sempre di più e impiantarsi all’estero.

da Capitale Intellettuale

Giuseppe Gagliano – Presidente CESTUDEC (Centro Studi Strategici Carlo De Cristoforis)

La competizione economica con cui dobbiamo fare i conti dagli inizi degli anni ’90 è una realtà sempre più marcata. Essa oppone contemporaneamente le imprese tra loro e gli Stati tra loro, e questi due livelli di scontro influiscono l’uno sull’altro. D’altra parte, recentemente, gli enti locali sono sottoposti alla nozione di performance e i territori sono entrati essi stessi in competizione.

In ragione dell’aumento dell’intensità concorrenziale, queste tre categorie d’attori prendono atto che le leggi del mercato e della libera concorrenza sono sempre meno rispettate. Da qui il ricorso a nuove pratiche d’informazione e d’influenza, procedenti dal mondo dell’intelligence e note con il nome di intelligence economica.

  • Dopo molti anni, gli Stati liberali adattano il loro dispositivo di intelligence alla competizione economica e culturale. Non esitano, qualora ne abbiano i mezzi, ad avvantaggiare e appoggiare i loro attori economici creando le condizioni favorevoli alla loro azione.
  • Le imprese, per vincere la concorrenza, applicano dei metodi tipici dell’intelligence o ispirati dalla strategia militare e reclutano ex membri dei servizi.
  • Infine, l’attuazione di una politica pubblica d’intelligence economica e territoriale ha permesso di contribuire efficacemente al miglioramento della competitività del tessuto economico nazionale.

Oggi dunque ci sono incontro, interpenetrazione e impatto delle sfere d’interesse e d’azione degli Stati, delle imprese e dei territori. Da qui l’affermarsi delle nozioni di intelligence economica, di sicurezza economica e di patriottismo economico.

Per questo è importante comprendere come le forze economiche di un Paese si organizzino per fare dell’informazione uno strumento di sviluppo economico e di difesa dei suoi interessi vitali, tanto più che la crisi economica in cui siamo entrati rischia di accrescere, ancora di più, la lotta per l’accesso ai mercati mondiali.

LA COMPETIZIONE TRA STATI

         Se la vittoria del liberalismo sul comunismo ha permesso all’economia di mercato di imporsi, questo successo ha paradossalmente provocato il ritorno dell’economia come ambito principale di competizione tra le nazioni. Si osserva che la scomparsa del nemico sovietico comune e la forza delle poste in gioco commerciali spingono sempre più spesso gli Stati occidentali a scontrarsi sui numerosi contratti internazionali.

Dal 1991, assistiamo così al trasferimento della conflittualità internazionale dal campo militare-ideologico al campo economico e culturale; gli scontri tra Stati sono oggi essenzialmente di natura commerciale. Così, la conquista dei mercati ha preso il posto delle conquiste territoriali. Gli scambi commerciali sono notevolmente disturbati dall’interferenza degli interessi degli Stati, anche se questi ultimi esaltano il rispetto delle leggi del commercio mondiale.

Dopo la fine della Guerra Fredda, gli Stati hanno reindirizzato i propri mezzi al fine di rispondere ai cambiamenti dell’ambiente. Quest’evoluzione era assolutamente indispensabile, poiché le poste in gioco economiche per loro hanno acquisito un’importanza fondamentale. Infatti, gli Stati devono essere capaci di conservare:

  • la loro indipendenza economica e culturale, cioè la loro libertà d’azione e il modello di società che si sono scelti;
  • la loro capacità di innovare e di produrre, grazie a una base industriale e tecnologica solida;
  • la loro prosperità e le loro risorse, che condizionano la loro capacità d’azione ma anche la loro stabilità e la loro coesione interna;
  • la loro sfera d’influenza politica, economica o culturale, se ne hanno una, che conferisce loro un ruolo internazionale proprio.

È solo conservando l’essere e l’agire dell’organismo nazionale che lo Stato assicura la propria perennità e svolge il proprio ruolo. Il ritorno dell’economia come principale terreno della competizione tra le nazioni lo spingono dunque a proteggere e a promuovere gli attori economici nazionali (imprese pubbliche o private, organismi territoriali, gruppi di interesse professionale, associazioni e organizzazioni non governative). Si tratta sia di proteggerli dalle minacce sia di permettere loro di conoscere tutte le opportunità di sviluppo. Ciò porta ad adottare una triplice logica di protezione del patrimonio tecnico e industriale (sapere e saper fare), di incentivo all’innovazione (creazione di un’infrastruttura del sapere, unica garanzia di riuscita delle società moderne) e di promozione delle imprese sui mercati esteri (garantendo alle imprese l’accesso libero e permanente ai mercati mondiali).

 

La competizione per l’indipendenza tecnologica, chiave della sovranità

 

Ormai, la tecnologia è diventata una delle principali poste in gioco della competizione mondiale, per ragioni economiche ma anche perché l’indipendenza tecnologica è diventata la chiave della sovranità. Infatti, le tecnologie emergenti costituiscono una formidabile leva d’innovazione e il loro controllo può essere ormai considerato tanto primordiale per lo status di potenza quanto la capacità di proiettare delle forze militari su scala planetaria. La sicurezza e l’indipendenza delle nazioni si trovano ormai coinvolte dalle tecnologie di punta che si rivelano al contempo fondamenta e poste in gioco del potere. Oggigiorno, l’acquisizione di vantaggi scientifici e tecnologici in un certo numero di settori chiave offre ai suoi detentori una posizione dominante sulla scena internazionale. Un attore che scopre e sfrutta per primo una nuova tecnologia, si garantisce il controllo sull’essenziale delle sue applicazioni e crea di per sé degli importanti vantaggi industriali e commerciali.

A lungo appannaggio di una minoranza di ambiti classificati come “settori di punta” – più spesso di natura militare e supportati dalla corsa agli armamenti – le alte tecnologie sono ormai presenti in tutti gli ambiti industriali. In primo luogo, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) sono al centro delle poste in gioco del potere a livello planetario: più della forza militare, della potenza economica e delle risorse di materie prime, è il controllo dei sistemi d’informazione e di comunicazione a creare le condizioni più appropriate per la supremazia mondiale.

Diviene dunque indispensabile parlare di “tecnologie di sovranità”. Queste ultime comprendono: le tecnologie di difesa; le tecnologie dell’aeronautica e dello spazio; le tecnologie dell’energia, in particolare il nucleare; le tecnologie del trattamento dei segnali (telecomunicazioni, informatica ed elettronica). Atre tecnologie sono certamente fondamentali per il progresso della conoscenza e dell’umanità, ma nel loro caso non si può parlare propriamente di tecnologie di sovranità.

Nel nuovo contesto di competizione economica, le scelte tecnologiche si affermano come delle decisioni strategiche di primaria importanza e la competitività dei settori di punta appare come il primo indicatore della capacità di un’economia o di un’impresa di trarre vantaggio dall’innovazione. Queste tecnologie e le politiche industriali che vi sottendono appaiono ormai come un criterio fondamentale del dinamismo delle nazioni e del loro posto nel mondo moderno.

Guerre d’influenza a monte dei mercati

Di conseguenza, la guerra per il controllo delle tecnologie e dei mercati mondiali è diventata un fatto determinante e le sue linee di forza orientano l’azione dei governi. Ormai, gli Stati elaborano e mettono in atto delle politiche di conquista di carattere economico e culturale. L’egemonia si traduce nella volontà di imporre le proprie norme in tutti gli ambiti. Il ricorso alle espressioni militari per descrivere i comportamenti geoeconomici in particolare è caratteristico nel discorso dell’americano Edward Luttwak: “i capitali investiti o attratti dallo Stato sono l’equivalente della potenza del fuoco; le sovvenzioni per lo sviluppo dei prodotti corrispondono al progresso dell’armamento; la penetrazione dei mercati con l’aiuto dello Stato rimpiazza le guarnigioni militari dispiegate all’estero, come pure l’influenza diplomatica. Queste diverse attività – investire, cercare, sviluppare e trovare un mercato – sono altresì la partita quotidiana delle imprese private che le esercitano per dei motivi puramente commerciali. Ma quando interviene lo Stato, quando questo incoraggia, assiste o dirige queste stesse attività, non è più economia pura, ma geoeconomia”.

L’oggetto della competizione economica è diventato, per ogni Stato, creare presso di sé o a proprio profitto degli impieghi, dei guadagni e aumentare le proprie risorse e la propria influenza. Ora, siccome non esiste un’economia nazionale prospera senza imprese redditizie, lo Stato deve incoraggiare le sue imprese a innovare, a esportare sempre di più e impiantarsi all’estero. La responsabilità principale dello Stato è dunque creare il miglior ambiente possibile affinché gli attori economici nazionali possano combattere con efficacia.

Nel nuovo contesto, lo scopo di uno Stato è garantire il successo delle sue imprese, anche quando l’eccellenza dell’offerta non è stabilita. In altre parole, si tratta di vincere a ogni costo contro la concorrenza e di riuscire a eliminarla. Ciò significa adattare, a volte con molto anticipo, il cliente alla propria offerta, distruggere quella degli altri competitors, ma anche sostituire l’influenza politica e culturale del proprio Stato a quella della parte avversa, a costo di ricorrere a dei metodi indiretti di penetrazione. Queste azioni sono volte più a battere la concorrenza che ad adattarsi ai clienti e gli Stati fanno tutto il possibile per rendere i mercati ricettivi ai prodotti che realizzano attraverso le proprie imprese.

Da un decennio, si osservano quotidianamente le interferenze degli attori statali nella competizione economica per la conservazione o la promozione dei propri interessi nazionali. Gli Stati liberali più avanzati economicamente hanno tutti messo in atto dei sistemi nazionali d’intelligence economica. Sono pochi i Paesi in cui i poteri pubblici non si siano manifestati per appoggiare la loro ricerca, la loro industria e le loro esportazioni: Advocacy Policy (USA), MITI (Giappone), Ministero della Ricerca o länders (Germania).

Lo scopo dell’intelligence economica di Stato è cambiare le regole del gioco della competizione e mira più a battere il nemico che ad adattarsi ai mercati. Al contrario, fa di tutto per rendere i mercati “attenti” ai prodotti che realizza attraverso le sue imprese.

Lo Stato appoggia quindi l’attività economica orientando l’intelligence nazionale sulle questioni commerciali. Questa condotta è il fondamento stesso della riuscita delle imprese e del loro successo sui loro concorrenti e rivali. Così, in questa competizione economica in cui la concorrenza internazionale si oppone sul minimo contratto, le campagne commerciali delle aziende esportatrici si basano su operazioni d’intelligence, d’influenza, e godono di sostegni governativi di tutti tipi.

Oggigiorno il ruolo degli Stati non è di sostituirsi agli attori economici ma piuttosto di creare le condizioni favorevoli alla loro azione. Si tratta dunque di istallare nel cuore dell’amministrazione una concezione promotrice del suo ruolo – permettere e aiutare a fare – che non è né di presa in carica integrale dell’attività economica, né di lasciar fare abusivo, come la definiva Lazare Carnot già nel 1793: “la prosperità nazionale è lo scopo dell’amministrazione civile. (…) Il governo non è altro, parlando propriamente, che il consiglio del popolo, l’economo dei suoi guadagni, la sentinella incaricata di sorvegliare attorno a lui per allontanare i pericoli e lanciare fulmini su chiunque tenti di sorprenderlo”.

LA COMPETIZIONE TRA IMPRESE

Mentre gli Stati industriali sono impegnati in una feroce competizione commerciale, sono le imprese a ritrovarsi nella prima linea degli scontri, poiché sono loro i combattenti della guerra economica. Sottoposte a una concorrenza rafforzata, il loro imperativo fondamentale è adattare continuamente il loro dispositivo alle nuove condizioni, inventare, creare e vendere in un mercato divenuto mondiale.

Le trasformazioni dell’ambiente economico sono tali, dall’inizio degli anni ’90, che sviluppare un’impresa è diventata una sfida permanente. Se i mercati sono sempre stati complessi, oggi lo sono ancora di più a causa della globalizzazione dell’economia, dell’aumento dell’intensità concorrenziale, del trasferimento della concorrenzialità nell’ambito economico e dell’intreccio dei dati politici, economici e tecnologici. Quest’embricatura difficile da controllare è un importante fattore di instabilità, tanto che la competizione pare alterata dalle rivalità degli Stati. Il numero di fattori esterni all’attività delle imprese che riguardano il loro divenire non cessa di crescere. Da qui la necessità di sviluppare nuovi strumenti di previsione e d’azione.

Questo nuovo dato pone le imprese di fronte a una problematica nuova alla quale poche di loro sono state preparate. Quali che siano le loro attività, esse ormai si trovano a dover fare i conti con delle situazioni inedite che le portano a riconsiderare la loro azione in funzione di nuovi parametri. Devono dotarsi di mezzi che permettano loro di arrivare a una capacità di comprensione globale dell’ambiente e sviluppare nuove strategie per uscire vittoriose dalla competizione.

Le imprese moderne devono d’ora in poi rispondere a una triplice preoccupazione: internazionalizzarsi o almeno saper ragionare a livello internazionale, essere capaci di sviluppare strategie coordinate con degli attori nazionali e internazionali di diversi livelli (azienda, Stato, ONG, organizzazioni sovranazionali) e dominare le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, continuando a eccellere nelle loro competenze di base e a conservare il loro sapere e il loro know-how.

 

 

L’informazione, materia prima della competizione economica

 

Le imprese non hanno altra alternativa che l’eccellenza. Ciò significa che devono essere adattabili, creative, rapide e capaci di generare complessità. Da qui il ruolo centrale dell’informazione, poiché è opportuno preparare le proprie decisioni con i dati migliori per ottenere un’immagine la più esatta possibile di una realtà per natura sfocata e in movimento.

Infatti, sebbene nessuno conosca il futuro, bisogna nondimeno provare a tracciarne i contorni. Il primo compito dell’impresa è dunque sorvegliare permanentemente il suo ambiente per scorgerne tutti i cambiamenti che potrebbero toccare la sua attività, per conoscere rapidamente tutte le nuove applicazioni offerte dalla scienza, per non lasciarsi superare dai concorrenti o per continuare a mantenere i propri vantaggi competitivi. L’informazione appare come un potente riduttore di rischio e un mezzo di illuminare il futuro.

Da diversi decenni l’hanno capito numerose grandi imprese americane e giapponesi, che fanno sorvegliare permanentemente i loro mercati, la posizione dei loro prodotti, le azioni della concorrenza (prezzo, promozione, pubblicità, lancio di prodotti, nuovi modi di distribuzione) da dei veri e propri centri d’informazione, dotati di potenti mezzi informatici di trattamento dei dati. Le imprese americane di alta tecnologia (Du Pont de Nemours, IBM, Hewlett-Packard, Dow Chemical) hanno organizzato la messa in rete delle loro forze di vendita su scala mondiale mettendo a loro disposizione, in tempo reale, un insieme di elaborate informazioni sullo stato della concorrenza, delle tecnologie e dei comportamenti dei clienti, il cui obiettivo è mettere al servizio del personale operativo, su scala planetaria, una base di dati di conoscenza che essi stessi contribuiranno ad arricchire e che permette loro di meglio rispondere alle necessità dei clienti. L’intera organizzazione è trasformata in una rete creatrice di conoscenze.

 

 

L’informazione, arma degli scontri economici

 

Ma la turbolenza dei mercati talora si rivela talmente pronunciata che ogni previsione affidabile diviene impossibile. Resta solo un’altra modalità d’azione: modificare l’ambiente a proprio favore. In questo caso, la principale finalità di un’azienda non è l’adattamento né l’anticipazione, ma la costruzione di un ambiente favorevole, imponendo le proprie regole del gioco agli altri attori. Si tratta di spostare la competizione su dei terreni in cui l’impresa dispone di prerogative o di vantaggi, di stabilire nuovi fattori chiave di successo e imporre le proprie norme. L’informazione si afferma allora come un’arma attraverso lo sviluppo di azioni d’influenza e di manovre di neutralizzazione della concorrenza.

Così, si osserva che in tutto il mondo un numero crescente di imprese mette in atto metodi ispirati all’arte della guerra e alle riflessioni di strateghi militari. In questo contesto di alta competitività, l’obiettivo prioritario di certe aziende non è più soddisfare i bisogni del mercato, ma distruggere psicologicamente le offerte e le proposte delle imprese concorrenti nella mente dei clienti attuali e futuri. Questo comportamento può arrivare a colpire fisicamente i centri di decisione, di ricerca, di produzione o di distribuzione, oppure i trasporti della concorrenza. Ciò porta di conseguenza gli attori economici a fare appello a dei saperi e a delle pratiche provenienti dalle competenze tradizionali dell’intelligence, anche se la filiazione con queste ultime raramente è riconosciuta.

L’intelligence economica si afferma quindi anche come un’arma che concorre a modificare l’ambiente a vantaggio della strategia dell’impresa, mediante lo sviluppo di strategie d’influenza e di manovre di neutralizzazione o di distrazione della concorrenza, a sostegno delle operazioni commerciali.

 

LA COMPETIZIONE TRA TERRITORI

 

La competizione economica e commerciale moderna non si esercita solamente tra Stati e imprese. Essa ha luogo anche tra territori. Questa è la dimensione più recente e più originale.

Da qualche anno, chiunque può osservare la crescita in potenza del regionale e l’accresciuta importanza politica della pianificazione territoriale e dello sviluppo locale. I territori, prima considerati come elementi passivi del capitale economico e sociale di uno Stato, assumono oggi una nuova dimensione.

I numerosi cambiamenti in corso (globalizzazione e deregolamentazione dell’economia, apertura dei mercati, impatto delle TIC sull’evoluzione delle modalità lavorative, costruzione europea, decentralizzazione, ecc.) influiscono infatti direttamente sulle organizzazioni spaziali, offrendo loro nuove prospettive e lanciando nuove sfide. Di conseguenza, i territori si riprendono e prendono coscienza del loro nuovo ruolo di attore. Affermano il proprio interesse in un modo nuovo, arrivano a modificare la posta in gioco economica e sociale nello spazio che occupano, rimettendo talora in causa delle pratiche stabilite e ponendo la questione dei nuovi tipi di rapporti sia con le imprese sia cono lo stato (accordo Stato-regione).

 

La sfida degli organi territoriali: controllare l’informazione per assicurare la prosperità e l’occupazione

 

I territori non sfuggono ai nuovi fenomeni di competitività, di mobilità geografica delle imprese e di globalizzazione degli scambi e lo sviluppo locale ha come fine l’infittimento del tessuto economico con una preoccupazione di tutela della crescita e dell’impiego regionale. Ormai esposti alla concorrenza di altre regioni o di altri comuni, gli enti locali rivaleggiano in sforzi per promuovere il proprio territorio, sviluppare le proprie infrastrutture e attirare imprese. Si rendono conto che devono mettere in atto una politica informativa mirata, al fine di preservare le attività economiche che ospitano, svilupparne di nuove e attirare nuovi investimenti.

D’altra parte il problema della responsabilità degli eletti di fronte ai loro elettori si pone in nuovi termini. A causa del peso della pressione fiscale e del miglioramento della sua informazione, il contribuente pretende dai suoi rappresentanti un’efficacia sempre più consistente e un utilizzo più giusto dei denari pubblici. Gli eletti dovrebbero così diventare dei veri e propri manager, responsabili davanti ai loro cittadini dell’organizzazione dei servizi e della gestione dei mezzi finanziari di cui hanno la responsabilità. Saldare un debito, raggiungere il pareggio di bilancio ed avere dei margini finanziari per investire in nuove infrastrutture diventano delle poste in gioco importanti, sia politiche che economiche. Queste operazioni implicano una professionalizzazione dei modi di gestione e l’attuazione di vere e proprie strategie territoriali.

Di conseguenza, per assicurare lo sviluppo del loro spazio, con uomini e organizzazioni che contribuiscano alla sua valorizzazione, i responsabili territoriali devono creare un ambiente favorevole alle iniziative economiche e agire in cinque ambiti:

– individuare il più presto possibile i progetti di investimento o di insediamento industriale nazionali, europei o internazionali al fine di attirarli;

– fornire informazioni alle imprese insediate sul loro territorio (mercati, concorrenti, prodotti, regolamentazioni) al fine di migliorarne la visibilità;

– incoraggiare l’innovazione con una politica di ricerca, di formazione e di sostegno finanziario mirato;

– appoggiare la creazione di imprese, in particolare creando vivai di imprese capaci di assicurare la comparsa di iniziative locali;

– mettere in rete gli attori locali in tutti gli ambiti, al fine di capitalizzare le esperienze, di rendere fertile il know-how, combinare le competenze e sommare i mezzi e le energie.

Gli enti scoprono allora che non possono più fare a meno di un sistema di informazione mirato che permette una migliore conoscenza delle risorse locali (informazioni, expertise, tecnologie, know-how), degli attori regionali (complementarietà e concorrenze interne) e dei potenziali sbocchi delle loro attività. Infatti, si tratta dell’unico mezzo di anticipare i bisogni delle imprese e di concepire delle vere e proprie strategie di sviluppo. Da qui l’emergere della nozione di intelligence territoriale.

Per gli enti locali, l’intelligence economica ha dunque come finalità il miglioramento della competitività del territorio e risponde a una duplice logica d’informazione e di rete. L’informazione deve permettere di disporre di nuove possibilità d’azione e d’influenza. Le reti devono incarnare la solidarietà degli attori per sviluppare il territorio e le relative imprese e generare accordo, divisione dei ruoli e scambio delle conoscenze.

 

 

La necessità di nuovi legami tra Stato, imprese e organi territoriali

 

In un mondo che si globalizza, le soluzioni appartengono sempre meno a organizzazioni isolate. La tutela dell’occupazione e della crescita, la costruzione di un vero e proprio sistema produttivo regionale, denso e diversificato, non possono essere che il prodotto dell’insieme degli attori di un territorio, delle loro competenze e del loro dinamismo. È dalla loro capacità di lavorare insieme, dalla loro volontà di comprendersi, di completarsi, di mobilitarsi attorno a un progetto comune che dipende la valorizzazione del territorio. Per gli enti e le imprese non è più il tempo di conservare un sospetto reciproco.

Gli enti locali devono essere portatori di un orientamento strategico e avere una conoscenza minuziosa del tessuto delle imprese e delle loro necessità, in particolare in materia di formazione, di ricerca e d’informazione. Ciò è indispensabile perché esse dispongano di personale qualificato per innovare ed esportare. Inoltre, gli enti devono incoraggiare e accompagnare gli sforzi dei raggruppamenti settoriali che permettono di sviluppare le competenze regionali.

Le imprese dal canto loro devono comprendere che devono far coincidere i loro obiettivi economici con l’equilibrio strutturale del territorio e gli interessi dei suoi rappresentanti. Aiutare gli eletti a migliorare l’attrattività del territorio assicura una legittimità forte e concorre allo sviluppo delle vendite. Nel loro interesse, esse devono dunque diventare un attore locale importante in ogni territorio in cui esse siano insediate, poiché le loro prospettive di sviluppo ormai sono direttamente collegate al divenire degli spazi economici in cui sono insediate.

Attualmente, si osserva che certi territori prosperano mentre altri sono in declino; che certi hanno saputo costruire una coesione forte mentre altri si sono trasformati in luoghi di rivalità e di lotte di influenza. La differenza non dipende dalle risorse naturali disponibili o dalla storia, anche se quest’ultima non è mai irrilevante, ma dalla capacità degli uomini di sviluppare un progetto comune nella realtà, ancorato in uno spazio coerente.

La nuova dimensione dei territori supera ampiamente il tradizionale significato identitario e culturale cui erano relegati da molto tempo. Oggi sono degli attori economici e sociali a pieno titolo, che hanno preso coscienza del loro potenziale e delle poste in gioco che rappresentano.

 

 

LA FONDAMENTALE POSTA IN GIOCO DEL CONTROLLO DELL’INFORMAZIONE

 

Oggi, la performance di un’impresa o di un territorio è direttamente collegata alla sua capacità di dominare il flusso di informazioni, al fine di giocare d’anticipo sia sulla congiuntura sia sulla concorrenza. Un accresciuto ricorso all’informazione diventa necessario a causa dell’aumento dell’intensità della competizione, dell’instabilità dei mercati e dell’accelerazione del ritmo delle innovazioni. Esso è reso possibile dallo straordinario sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

La gestione dell’informazione a fini economici ha dato luogo al concetto di “intelligence economica”, che si può definire come l’insieme di comportamenti messi in atto per acquisire, arricchire, diffondere e scambiare delle informazioni e trasformarle in azione.

Ma al contrario di certe idee preconcette, il controllo dell’informazione non è un comportamento innato. Il suo apprendimento, le sue pratiche, il tipo di organizzazione che conviene adottare e i mezzi umani o materiali da destinare a questa nuova funzione sono delle poste in gioco strategiche per questi attori che rispetto a tutto ciò spesso si trovano molto carenti. Imprese e territori saprebbero come contare sull’evoluzione generale delle cose. Bisogna dunque cambiare in termini di organizzazione, cultura e metodi e diventare dei professionisti dell’informazione.

Questa gestione sistematica dell’informazione è un fenomeno nuovo, ed era legittimo che le imprese facessero appello a degli specialisti riconosciuti, in modo da superare con successo le prime tappe dell’apprendimento. Ciò ha portato gli attori economici a fare appello a dei saperi e a delle pratiche derivanti dal mondo dell’intelligence, anche se la filiazione rispetto a quest’ultima raramente è riconosciuta.

Che si tratti di informazioni per adattarsi o per anticipare o di azioni per modificare l’ambiente e sottrarre un mercato a un concorrente, quello che l’impresa chiama veglia, intelligence, informazione elaborata, Lobbying o Benchmarking sono perlopiù attività tipiche del mondo dell’intelligence, adattate e applicate al contesto delle imprese. Così, anche se essa si arricchisce grazie a un incrocio con gli approcci scientifici e rigorosi del marketing e della consulenza, l’intelligence economica non è una creazione ex nihilo. È invece un adattamento dell’intelligence alla problematica delle attività economiche concorrenziali, all’era dell’informazione, con degli imperativi etici e legali.

Lo sviluppo recente dell’intelligence economica non ha nulla dell’effetto di una moda. Si deve a un fenomeno subito e non desiderato. Risponde al bisogno degli attori economici di dotarsi di uno strumento adattato al nuovo contesto iperconcorrenziale. Le imprese, ivi comprese le più grandi, costatano che i loro tradizionali mezzi d’azione sulla concorrenza e sull’ambiente sono diventati inefficaci. Devono dunque ricorrere a nuovi modi d’azione per poter pesare sul loro ambiente, per poter assicurarsi lo sviluppo o la sopravvivenza.

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ANNO 4 N.1

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(*) traduzione dell’articolo del Direttore del Centro Francese di Ricerca sull’Intelligence (CF2R) Eric Denécé.


Bibliografia

  • Eric Denécé, L’autre guerre des Etats-Unis. Economie : les secrets d’une machine de conquête, testo scritto in collaborazione con Claude Revel, Robert Laffont, Paris, 2005.
  • Les secrets de la guerre économique, testo scritto in collaborazione con Ali Laïdi, Seuil, Paris, 2004.
  • Le nouveau contexte des échanges et ses règles cachées. Information, stratégie et guerre économique, L’Harmattan, Paris, 2001.

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