Casa Risorse UmaneComunicazione “La rana che fini cotta senza accorgersene”: il conflitto all’interno delle organizzazioni

“La rana che fini cotta senza accorgersene”: il conflitto all’interno delle organizzazioni

Il conflitto è una tipologia d’interazione in cui uno o più degli attori coinvolti sperimenta un’esperienza d’incompatibilità negli scopi o nei comportamenti. Tale fenomeno è elemento costante e necessario della vita sociale che se non adeguatamente gestito può avere forti ripercussioni sul benessere fisico - psicologico dell’individuo e sulle dimensioni socio-economiche delle organizzazioni.

da Capitale Intellettuale

Roberto Sartori Psicologo esperto in processi di formazione e sviluppo organizzativo

 “….Immaginate una pentola piena d’acqua fredda e dentro una rana che nuota tranquillamente. Si accende il fuoco sotto la pentola. L’acqua si riscalda piano piano. Presto diventerà tiepida. La rana trova la situazione piacevole e continua a nuotare. La temperatura comincia a salire. L’acqua è calda, un po’ più calda di quanto piaccia alla rana ma per il momento non se ne preoccupa più di tanto, soprattutto perché il calore tende a stancarla e stordirla. L’acqua ora è davvero calda. La rana comincia a trovarlo sgradevole ma è talmente indebolita che sopporta, si sforza di adattarsi e non fa nulla. La temperatura dell’acqua continua a salire progressivamente, senza bruschi cambiamenti, fino al momento in cui la rana finisce per cuocere e morire senza mai essersi tirata fuori dalla pentola. Immersa di colpo in una pentola d’acqua a 50°, la stessa rana salterebbe fuori con un salutare colpo di zampa…”

Con questa “discutibile” sperimentazione alcuni ricercatori della John Hopkins University, già nel lontano 1882, evidenziarono come gli esseri umani e di conseguenza le organizzazioni che li accolgono, non siano in grado di percepire, dunque di fronteggiare adeguatamente, le lente e costanti dinamiche di deterioramento. Se un’esperienza particolarmente traumatica genera nell’individuo una pronta risposta, un processo di decadimento graduale e progressivo può non suscitare nessuna opposizione. Le dinamiche conflittuali sono un esempio classico di tale fenomeno.

Il conflitto è una forma d’interazione tra agenti (individui, gruppi, organizzazioni, ecc.) in cui almeno uno degli attori coinvolti percepisce un’incompatibilità rispetto a intenzioni, aspettative o azioni, tale da vedere ostacolata la soddisfazione dei proprio bisogni o il raggiungimento dei propri obiettivi.  Tale interazione non si manifesta in genere subito nella sue forme più eclatanti. Quando all’interno di un sistema ha origine un conflitto, si assiste, infatti, a una progressiva e inesorabile escalation, spesso impercettibile se non nelle sue manifestazioni più deleterie. Secondo Glasl  esistono tre grandi fasi (a loro volta suddivisibili in diversi step) che caratterizzano il processo di escalation del conflitto: una prima fase d’intensità moderata in cui è viva la speranza che possano esistere soluzioni di mutuo beneficio, un periodo intermedio in cui viene meno la fiducia nel dialogo e si rinforza la percezione del carattere “totalmente” negativo della controparte, infine un ultimo stadio in cui lo stato di conflitto si esplicita in tutta la sua intensità, in un vero e proprio scontro al termine del quale non è possibile designare vinti o vincitori.

In questo suo progressivo incedere il conflitto, se non adeguatamente gestito, si manifesta in forme via via sempre più rovinose.

Inizialmente, la conflittualità si mostra sotto forma di “divergenza” in cui le azioni dei singoli, che dovrebbero essere coordinate, tendono invece a differire su obiettivi diversi. In seguito si rivela come “concorrenza” quando parti del sistema, si pongono in condizioni di simmetria con altre, mirando al medesimo obiettivo. Si esprime, poi, come “ostacolamento”, l’attività degli agenti che non è più rivolta al raggiungimento dell’obiettivo ma sull’agire della controparte, con lo scopo di impedirne il conseguimento delle proprie aspirazioni. Infine si svela, nella sua forma più violenta, come ”aggressione”, l’azione dei soggetti è diretta sull’”avversario” con l’intento di nuocere all’altro a prescindere da ciò che questi possa fare.  La graduale progressione del conflitto diventa chiaramente leggibile nelle azioni, nelle percezioni, nelle emozioni o negli atteggiamenti che contraddistinguono il sistema organizzativo. Le “strategie concorrenziali”, che mirano allo sviluppo e al perfezionamento delle proprie qualità e dei propri aspetti distintivi cedono il passo a “strategie competitive” tendenti, in modo più o meno consapevole, a imitare la qualità della controparte e limitarne l’efficienza, generando un rapido deteriorarsi del clima aziendale e delle relazioni interpersonali.

Sarebbe un errore, però, considerare le dinamiche conflittuali foriere solo di negatività per l’organizzazione. Come sostengono, infatti, Spaltro e Piscitelli il conflitto se adeguatamente gestito può trasformarsi in un’importante opportunità di crescita poiché aumenta la consapevolezza del proprio ruolo e del proprio potere nella situazione relazionale, intensifica la mobilitazione dell’energia psichica a favore del raggiungimento degli obiettivi, oltre a potenziare l’identità delle due o più componenti implicate”.

In quest’ottica il conflitto non dovrà essere negato o evitato ma piuttosto riconosciuto e accudito, come occasione di sviluppo per il singolo, per il gruppo, per l’organizzazione.

Se correttamente gestito invece di deflagrare in forme distruttive e ripercuotersi sull’efficienza dell’organizzazione e sul benessere fisico, psicologico, relazionale dei membri che la compongono, la dinamica conflittuale può tradursi in una preziosa possibilità di crescita. Ogni mutamento, innovazione, miglioramento è del resto il risultato di una qualsivoglia forma di “crisi”. In sistemi complessi in continua evoluzione come quelli organizzativi le fasi conflittuali possono diventare momenti particolarmente costruttivi poiché permettono l’emersione di criticità altrimenti trascurate, favorendo una ristrutturazione della situazione e un processo di riequilibrio. Di per sé il conflitto non può essere considerato come una deriva patologica del sistema ma piuttosto come asserisce Briganti come una variabile organizzativa di tipo costruttivo” che solo se non gestita o negata può comportare problemi per l’organizzazione.

In un momento particolarmente delicato come quello attuale, diventa dunque prioritario mettere in campo strategie per la trasformazione dei conflitti che, aumentando la consapevolezza del fenomeno, potenziando i canali comunicativi, promuovendo stili negoziali efficaci, consentano un contenimento degli inevitabili costi umani ed economici e permettano di sfruttarne a pieno la componente funzionale. Muovendosi in tale direzione l’organizzazione potrà trovare nuove e inattese risorse per la propria crescita ma soprattutto evitare….di finire cotta senza accorgersene.

ANNO 4 N.2

image @Stockphoto.com/freelancebloke


Bibliografia:

  • Arielli E., Scotto G. (2003) “Conflitti e mediazione” Mondadori, Milano
  • Briganti, P. (2010) “I conflitti organizzativi” Aracne, Roma
  • Bush, R.A.B. e Folger, J.P. (1994) “ The promise of mediation: responding to conflict trough empowerment and recognition.” Jossey-Bass, San Francisco
  • Clerc O. (2010) “La rana che finì cotta senza accorgersene e altre lezioni di vita” Bompiani, Bergamo
  • Fogli, A. (2009) “Gli Errori Manageriali: Riconoscerli e Trasformarli in Opportunità di successo” Angeli, Milano
  • Gasl F. (1982) “Conflict Management and Industrial Relations” Kluwer-Nijhof, Boston
  • Spaltro E., Piscicelli V. (1990) “Psicologia per le organizzazioni” La Nuova Italia Scientifica, Roma

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