Casa Management Pianificazione strategica per le PMI del comparto aerospaziale: osservazioni e spunti di riflessione

Pianificazione strategica per le PMI del comparto aerospaziale: osservazioni e spunti di riflessione

Il settore aerospaziale rappresenta da tempo un fondamentale punto di riferimento per il mercato italiano ed una fetta significativa dell’intero tessuto industriale nazionale: sotto un profilo esterno, la PMI deve puntare oggi sull’innovazione tecnologica, sulla ricerca e sviluppo e sul potenziamento del proprio ruolo nei confronti del mercato, contestualmente ad una strategia di diversificazione del prodotto e dell’offerta su base settoriale.

da Capitale Intellettuale

Carmine America Consulente di management strategico ed analista d’intelligence economica nel settore Difesa & Aerospazio

Il settore aerospaziale rappresenta da tempo un fondamentale punto di riferimento per il mercato italiano complessivamente considerato ed una fetta significativa dell’intero tessuto industriale nazionale, sia in termini percentuali rispetto al Prodotto Interno Lordo, sia in termini di sviluppo ed implementazione tecnologica – rapporti tra industria ed università/centri di ricerca – sia in termini di crescita economica fine a sé stessa.

Appare evidente che in un sistema come quello italiano, caratterizzato da pochi grandi player settoriali che rivestono una funzione attrattiva nei confronti dell’interno – l’intera filiera produttiva si orienta verso i singoli player: Alenia Aermacchi, AgustaWestland, Selex ES, Thales Alenia Space, MBDA etc. – ed una funzione espansiva verso l’esterno, i grandi player sono i principali se non gli unici protagonisti nella determinazione delle strategie di mercato per la competizione internazionale, la PMI assuma un ruolo “subordinato” o quantomeno “satellite” per ciò che concerne l’identificazione ed il perseguimento degli obiettivi di mercato, la definizione delle strategie competitive su scala nazionale ed internazionale. In altri termini, il rapporto di potere che viene a crearsi tra la grande industria e la PMI è quasi esclusivamente unidirezionale ed assume una connotazione gerarchica in tutti gli aspetti che caratterizzano la vita di una realtà produttiva.

Tale impostazione di fondo influenza marcatamente il modus operandi delle PMI e la maturazione di una propria classe manageriale, che spesso coincide familiarmente con quella imprenditoriale, in un lasso di tempo più o meno lungo, entro il quale la PMI nasce ed occupa una limitata porzione di mercato – spesso fortemente settoriale, ad Es. lavorazioni meccaniche, macchinari, lamierati, attrezzature, compositi, processi speciali, ingegneria dei sistemi ecc. – tendendo ad assumere atteggiamenti eternamente simbiotici con il customer di riferimento; raramente il supplier passa al livello successivo, divenendo partner vero e proprio, anche in termini generazionali. Esiste anzi una intricata foresta di mini e micro realtà che costituiscono un indotto che vive di fornitura e subfornitura, senza avere consapevolezza delle proprie capacità tecniche, delle capability da sviluppare, delle scelte che i manager debbono assumere per guidare l’azienda sul mercato.

La conseguenza più evidente di questo stato di cose in termini strategici è rappresentata dalla incapacità di direzionare i processi decisionali, di sviluppare scientemente know-how, di crescere in termini qualitativi e quantitativi e di assumere una responsabilità, accountability, effettiva nei confronti della grande industria. L’inconsapevolezza manageriale e l’incapacità di scegliere quale mercato aggredire, in quanto tempo strutturarsi e come sfruttare le risorse a disposizione rappresentano, non a caso, la causa maggiore di destrutturazione del comparto aerospaziale e la principale ragione di insuccesso per realtà produttive piccole e medie, sebbene preziose per l’intera filiera di riferimento.

La volontà di superare i limitati orizzonti che ostruiscono la visuale della classe manageriale è presupposto essenziale per una sintetica analisi contenutistica, finalizzata a stimolare una discussione tra le forze in gioco.

Volendo, quindi, partire dalla necessità di una più consapevole gestione delle preziose attività imprenditoriali che fanno l’ossatura del comparto aerospaziale e sono base indispensabile per la crescita e la proiezione sui mercati dei nostri grandi player, diviene necessaria un’analisi qualitativa ed economica dei fattori da considerare nello scegliere le strategie da seguire nel mare magnum dei prossimi 15/20 anni.

I temi sui quali si vuole insistere sono quelli della individuazione dei segmenti di mercato da occupare, delle strategie di diversificazione e bilanciamento nella definizione del core business, degli investimenti strutturali da compiere per competere sul mercato, dell’atteggiamento da assumere nei confronti di competitori e customer.

Uno sforzo di questo tipo non può che partire dallo studio del presente e del passato, finalizzato a capire come sono nate ed in che modo si sono sviluppate le realtà piccole e medie attualmente operanti nel settore aerospaziale italiano.

Se, infatti, la grande industria italiana può vantare una storia ultrasecolare, è vero che l’attuale comparto ha assunto una connotazione stabile e lineare solo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si è stabilizzato e strutturato nel mondo bipolare ed ha assorbito in misura maggiore di quanto si possa immaginare gli effetti geostrategici e geoeconomici tipici dell’industria occidentale prima e del mercato globalizzato poi. L’universo delle PMI, ruotando intorno ai grandi player di settore, si è formato come una costola ed un prolungamento di quella che era industria di Stato, IRI, ed oggi è soggetto economico di interesse nazionale, Finmeccanica. In altri termini, in un periodo storico particolarmente florido per l’impatto causato dalla partnership produttiva italiana con grandi realtà occidentali, programmi NATO ed USA in particolare, tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni novanta del secolo scorso molti dei soggetti attualmente operanti sul mercato sono fuoriusciti dalla grande industria, avendo acquisito know-how e relazioni interpersonali, mettendosi in proprio e occupando marginali segmenti produttivi, tecnicamente non impegnativi ma potenzialmente importanti per supportare la componente italiana nel mercato internazionale.

Lo stesso impatto geografico è oggi significativo per comprendere il fenomeno in questione: non è un caso che la stabilizzazione e la diffusione su territorio nazionale delle industrie aeronautiche, ad esempio, sia avvenuto per un principio di attrattività nel tempo e nello spazio, verso i poli più importanti e le sedi produttive locali di quella che era ed è Aerfer, Aeritalia, Alenia Aeronautica, Alenia Aermacchi.

Si è così giunti ad un livello tale di aggregazione geografica che oggi porta a parlare di “distretti aerospaziali regionali”, sebbene il concetto di rete ed interconnessione sistemica sia nella sostanza molto meno affermato di quanto possa apparire e rappresenti anzi un obiettivo strategico, da raggiungere concretamente nell’arco del prossimo decennio.

Lungo il periodo storico inquadrato e nelle aree di attrattività segnalate sono nate molte micro-realtà produttive, in alcuni casi a carattere individuale e nella stragrande maggioranza delle situazioni, statisticamente più dell’80% delle PMI nate tra gli anni ottanta e novanta, a carattere familiare.

Le realtà in questione si sono sviluppate come fornitori e subfornitori con attività ad impatto strettamente localizzato e con esigenze di investimento inizialmente minino, sia in termini di “macchinari da officina” – ad Es. torni, fresatrici, alesatrici ecc. – sia in termini di capitale umano. Una prima selezione darwiniana è emersa con i passaggi generazionali e con il crescere delle esigenze della grande industria nazionale, che con il tempo ha richiesto maggiore impegno ed un apporto più significativo da parte dell’indotto, nell’ambito della progettazione, dello sviluppo di sistemi ingegneristici più complessi, nella verticalizzazione ed assegnazione esterna di pacchetti di programmi più o meno articolati. Ciò ha determinato l’emersione di alcune realtà più abili ad evolversi ed a capire il mercato, che hanno saputo investire o hanno intuito la necessità di carpire l’opportunità offerta dal customer di riferimento. Altre realtà hanno accusato il colpo ed hanno perduto segmenti di mercato fino ad assumere ruoli estremamente marginali. Le crisi di settore, che in momenti e con impatti diversi hanno interessato anche le PMI, hanno contribuito a questa selezione naturale.

Contestualmente, il lavoro di officina delle PMI ha richiesto ricambio generazionale, capacità di autorigenerazione e sviluppo di skill precedentemente non necessari, come l’alta formazione e lo sviluppo di capacità manageriali per soggetti chiamati ad interfacciarsi con sistemi nazionali ed internazionali complessi, come la conoscenza tecnica della lingua inglese e la capacità di interfaccia con strutture aziendali sempre più articolate.

In questo contesto molte delle PMI di successo che attualmente operano sul mercato sono giunte ad una seconda, se non ad una terza, generazione ed hanno saputo garantire dinamicità e fluidità alle attività poste in essere, muovendosi saggiamente su un mercato sempre più impegnativo.

Non vi è, infatti, dubbio nel constatare che le esigenze del mercato sono cresciute negli ultimi trenta anni e che solo le realtà più dinamiche hanno saputo evolversi attraverso investimenti mirati e sistematici, nonché attraverso la tessitura di pur significativi rapporti interpersonali con la classe dirigente di settore.

Oggigiorno il quadro che si prospetta risulta essere particolarmente impegnativo e richiede più che mai una pianificazione strategica nel valutare le scelte da compiere internamente ed esternamente alla propria azienda, che avranno conseguenze importanti nell’arco del prossimo ventennio e dovranno essere attentamente monitorate e direzionate dagli attori in gioco.

La globalizzazione e l’annullamento delle distanze, anche in termini produttivi, provocheranno una vera e propria rivoluzione che, con effetto domino, è destinata a travolgere anche le realtà più piccole, in passato immuni dalla competizione su larga scala. L’emergere ancora marginale dei competitor stranieri oggi solo percepito – si pensi all’industria indiana, cinese, brasiliana e sudafricana – sarà sempre più asfissiante man mano che crescerà la forza produttiva di tali realtà, oggi minima ma in grado di evolversi esponenzialmente.

Sebbene la capacità di influenza sulla grande industria a carattere nazionale possa sembrare insignificante, vi sono possibilità di coinvolgimento concreto da considerare e piccole crepe nella diga si sono già formate: si registrano ad esempio fornitori cinesi che hanno già lavorato e che lavoreranno per l’industria italiana di settore.

Sotto un profilo esterno, la PMI deve puntare oggi sull’innovazione tecnologica, sulla ricerca e sviluppo e sul potenziamento del proprio ruolo nei confronti del mercato, contestualmente ad una strategia di diversificazione del prodotto e dell’offerta su base settoriale, al fine di prevenire l’impatto di domani: solo attraverso un rafforzamento degli investimenti e la ricerca di nuove frontiere produttive sarà possibile maturare un know-how talmente stratificato da essere scalfito in minima parte da una concorrenza di prezzo più che di qualità.

La ricerca di nuove nicchie di mercato ed una strategia che punta al rafforzamento del rapporto con il customer divengono elementi indispensabili negli obiettivi da perseguire: il supplier, in altri termini, deve aspirare a divenire partner della grande industria e lo deve fare percorrendo sia un canale bilaterale che multilaterale. È in questo ambito che si inserisce l’idea dei distretti regionali, dei cluster, delle reti produttive e dei consorzi.

Un momento fondamentale nell’attuazione delle strategie di medio periodo sarà dunque rappresentato dalla capacità di offrire maggiore organizzazione della supply chain ed una ripartizione più articolata delle responsabilità, sulla base del know-how maturato, tra i soggetti che porranno in essere attività di rete. La tendenza assunta dai grandi player sarà sempre più marcatamente rivolta ad esternalizzare interi pacchetti di programmi e richiedere al proprio supplier una notevole responsabilità sia in termini produttivi che in termini finanziari: responsabilità che attualmente può essere assicurata solo dalle medie imprese con organizzazione affermata ed economicamente solida oppure, appunto, da reti di imprese e consorzi.

Ciò si traduce nella necessità per la PMI di decidere quale strada seguire per conservare il proprio mercato: strutturarsi attraverso significativi investimenti mirati a rafforzare le strutture organizzative, così da far fronte alle esigenze del customer oppure intraprendere e consolidare complessi meccanismi multilaterali finalizzati a condividere pacchetti di lavoro.

La sensibilità verso l’attuazione di programmi di ricerca e sviluppo è poco presente o male interpretata da parte delle PMI, che in genere considerano il tema come un filtro strumentale, insieme alla formazione, per attingere al bacino dei vari fondi e finanziamenti. Questa situazione pesa assai negativamente sul lungo periodo. Considerati, ad esempio, i tempi medi di durata dei programmi aeronautici – anche quaranta anni – si può capire che i passi da compiere per mantenere la propria posizione sul mercato nei prossimi quindici anni debbono essere pensati ora. Gli sforzi in ricerca e sviluppo, proporzionati alle dimensioni ed alle potenzialità della singola impresa, vanno orientati sia in termini di processi che in termini di prodotti. È evidente che il customer dovrebbe essere positivamente predisposto nei confronti del fornitore in grado di semplificare il processo produttivo, abbattendo costi e tempi impiegati, intervenendo direttamente sui cicli di lavoro, senza quindi recepire passivamente i compiti assegnati. L’attuazione di programmi di ricerca e sviluppo, in altri termini, non serve a drenare fondi ma a tracciare la strada che dovrà essere percorsa nel medio e lungo periodo. Inevitabilmente ciò richiede conoscenza elevata dei propri mezzi e del settore in cui si interviene, padronanza degli argomenti trattati e capacità di reggere il confronto con la controparte.

Le strategie di ricerca e sviluppo possono essere, poi, complementari e subordinate alla necessità di attuare scelte diversificate con riferimento ai prodotti ed all’offerta.

In uno scenario fortemente globalizzato come quello attuale, fluido e dinamico, in cui la legge del mercato si traduce nell’annullamento della componente localistica, bisogna pensare che la libertà di circolazione di merci e servizi possa essere sia un vantaggio che uno svantaggio. Per controllare gli esiti di questo scenario, la PMI deve essere in grado di perseguire attività di diversificazione di prodotti e processi, poiché si traducono istantaneamente in strumenti di competitività.

Diversificare il prodotto non significa necessariamente cambiare il proprio core business ma può tradursi molto più semplicemente in una rimodulazione dell’offerta, pur mantenendosi ancorati ad un determinato settore produttivo.

Considerato, ad esempio, che esistono similari esigenze nella supply chain del settore aeronautico, ferroviario, navale ed automotive, sarebbe opportuno aprire più strade e cercare di strutturare più canali utili a mantenere i propri volumi produttivi. Le statistiche, infatti, insegnano che i mono-fornitori mettono la propria vita nelle mani del customer e quando non sono in grado di percepire il momento di crisi di quest’ultimo, pagano delle carissime conseguenze. Nella migliore delle ipotesi sarebbe positivo assicurarsi un portafoglio ampio e variegato di attività che abbiano base tecnologica comune e impattino su settori differenti, non necessariamente complementari.

Sotto un profilo interno, l’esigenza che maggiormente si avverte nella conformazione tipica delle componenti decisionali che guidano le PMI, strutture accentrate ed a carattere familiare, è quella di puntare ad un rafforzamento delle figure manageriali intermedie, che serva a strutturare quell’ossatura indispensabile per consentire alla realtà produttiva di “camminare con le proprie gambe”.

L’obiettivo cui si deve primariamente puntare è quello della formazione di una classe manageriale giovane, che possa essere guidata ed educata alla cultura aziendale, all’etica del lavoro, alle regole della competizione. Soprattutto nelle piccole realtà produttive è, infatti, assai frequente la mancanza di una componente decisionale intermedia, che faccia da filtro tra stakeholder e lavoratori e serva a stabilire equilibri e policy aziendali. La diversificazione di funzioni e competenze, a differenza dell’accentramento, serve a ripartire le procedure, instaurare rapporti formali, superare un approccio monodimensionale. È chiaro che il superamento di un’ottica meramente esecutiva serve a responsabilizzare e formare figure manageriali comunque inserite in impalcature gerarchiche e verticistiche. Nell’ottica di una pianificazione strategica questo target si traduce in una graduale ripartizione delle competenze all’interno di strutture funzionali non eccessivamente complesse, flessibili e resilienti.

Accanto al rafforzamento delle figure manageriali intermedie si pone la questione dell’organizzazione interna e del trasferimento di conoscenze tecniche. Se le esigenze del mercato mutano in periodi di tempo piuttosto brevi, si deve assolutamente evitare la perdita di know-how causata dalla “conservazione personalistica” di informazioni e competenze tecniche. La PMI deve costantemente aggiornare e verificare un piano di trasferimento delle conoscenze, attraverso cui monitorare il modo ed i tempi in cui le informazioni sono trasferite ed innovate. Non si può correre il rischio di disperdere il patrimonio informativo aziendale. In ogni caso è proprio l’informazione il vero “tesoro” da proteggere e custodire oggigiorno, vero punto di discrimine tra aziende virtuose ed aziende non virtuose.

Ultimo elemento di considerazione è la solidità finanziaria e la stabilità di bilancio cui si deve costantemente mirare. Un azienda dinamica è un’azienda sana e la solidità di bilancio è presupposto indispensabile per puntare ad una crescita graduale e non dopata. In filiere produttive come quelle aeronautiche, infatti, non si può correre il rischio, come in passato è accaduto e continua ad accadere, di avere nella catena anelli deboli.

È chiaro che una disamina complessiva di tutti gli aspetti che interessano la vita di una qualsiasi PMI italiana del settore aerospaziale richiederebbe l’analisi e la considerazione di numerosi ulteriori elementi, ma le considerazioni sinora svolte vogliono esclusivamente essere uno spunto ed un invito alla riflessione, affinché dalla discussione possano nascere e rafforzarsi fondamentali momenti di confronto.

ANNO 5 N.2

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