Francesca Ghetti Avvocato giuslavorista
Sempre più spesso, in linea con l’evoluzione della tecnologia, si pone il problema di interpretare il concetto dei cosiddetti “controlli a distanza” dei lavoratori di cui fa menzione l’art.4 dello Statuto dei Lavoratori.
Tale accezione è da intendersi riferita sia al controllo che permette di seguire simultaneamente l’attività dei lavoratori in un ambiente fisicamente distante dal luogo in cui si attua il controllo, sia ad ogni forma di registrazione di dati o di immagini che permetta, a posteriori e dunque a distanza temporale, di riesaminare e valutare l’attività dei lavoratori stessi.
È stato affermato in dottrina come il divieto colpisca i sistemi di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, generalmente intesa, e non della sola “attività lavorativa” (nozione a cui fa riferimento, invece, l’art. 3 dello Statuto dei Lavoratori sul personale di vigilanza): differenza di non poco conto se si considera che per “attività lavorativa” si intende quella direttamente consistente nell’espletamento delle mansioni e volta all’adempimento dell’obbligazione lavorativa, mentre “attività del lavoratore” presuppone un concetto di più ampia portata, comprendente l’intero comportamento umano nel luogo di lavoro, ivi comprese le cosiddette “licenze comportamentali”.
La questione è all’evidenza assai delicata posta non solo l’esistenza di una sanzione di carattere penale per la violazione dell’art. 4 dello Statuto ma pure per l’esistenza di assai gravose sanzioni.
Per l’inosservanza delle disposizioni in materia di apparecchi di controllo (art. 4 e 38 L. 300/70; artt. 114 e 171 D.Lgs 196/2003), a meno che il fatto non costituisca un reato più grave, è prevista l’ammenda da Euro 154,00 a Euro 1.549,00 oppure l’arresto da 15 giorni ad un anno.
Nei casi più gravi le pene sono applicate congiuntamente ed inoltre, qualora la pena dell’ammenda sia inefficace, il giudice può quintuplicarla.
Per il mancato rispetto delle disposizioni in materia di videosorveglianza è prevista la sanzione amministrativa, da Euro 30.000,00 a Euro 180.000,00 (art. 162, comma 2 ter D.Lgs 196/2003).
Ciò posto mi è parso di particolare interesse il chiarimento offerto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (con nota del 1 marzo 2010) il quale, a seguito di interpello postogli da primaria azienda di telecomunicazioni, ha considerato legittime, individuando una sorta di spartiacque tra controlli dei “lavoratori” e controlli del “lavoro” con le limitazioni di cui dirà, le registrazioni delle conversazioni telefoniche effettuate.
Questa, in concreto, l’ipotesi esaminata. che non rendano possibile risalire all’individuazione né dell’operatore né dei clienti coinvolti nella conversazione registrata ai fini del monitoraggio.
Prima di entrare nel merito dell’attualità ritorniamo però sul primo aspetto per chiarire che il controllo e/o la registrazione delle conversazioni del lavoratore rappresenta un reato (artt. 617 e 617bis c.p.) in quanto compiuto da un soggetto privato al di fuori delle cautele legali delle intercettazioni telefoniche eseguite dalla polizia giudiziaria nell’ambito di indagini penali. Ciò detto ecco il ragionamento del Ministero del lavoro.
Innanzitutto la ricostruzione della vicenda:
- i controlli non sono sistematici, ma a campione;
- le voci di clienti e operatori vengono criptate in fase di registrazione, in modo tale da essere non riconoscibili e non riconducibili all’identità del singolo operatore e cliente;
- i primi secondi di conversazione vengono eliminati con conseguente impossibilità di ascoltare il nome dell’operatore;
- il sistema di monitoraggio non fornisce alcun report di informazioni sul singolo operatore;
- non vengono tracciati né il nome dell’operatore, né alcun altro dato che possa condurre alla sua identificazione;
- l’accesso ai dati registrati è rigorosamente tracciabile e limitato ai soggetti autorizzati rispetto alle finalità di monitoraggio.
Nel caso in esame per il Ministero non trova, dunque, applicazione l’art. 4 dello Statuto dei lavoratori perché manca il presupposto centrale di tale norma ossia il controllo sul lavoratore, dato che le cautele descritte non consentono di risalire alla identità dello stesso. Pertanto siamo in presenza di una sorveglianza a distanza dell’attività lavorativa, ma siccome non si sa chi è il lavoratore monitorato, non c’è violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.
Tale prospettazione e prospettiva di analisi mi pare di particolare interesse perché permetterebbe all’azienda di verificare la correttezza e la qualità del servizio (in questo caso di call center) reso dalla società a favore del committente, ma non già e non di certo di controllare la corretta esecuzione della prestazione individualmente resa dai singoli dipendenti.
Ciò posto residuano dunque tutte le problematiche (controllo delle pause, controllo degli accessi ad Internet, ecc.) sulle quali occorrerà individuare volta per volta soluzioni sostenibili e/o comunque sottoporre il “controllo a distanza” alla preventiva approvazione sindacale. ■
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