
Lucio Riva Legal Director
In precedenza su questa rivista ho svolto alcun cenni sull’importanza del marchio quale asset fondamentale per l’attività d’impresa. Ritengo ora necessario, quale corollario alla precedente trattazione fare un’analisi sulle possibili strategie di difesa del marchio stesso.
L’ideazione di un nuovo marchio, infatti, comporta, non solo la pianificazione di strategie commerciali connesse all’uso del suddetto nuovo segno distintivo, bensì lo studio e l’attuazione delle azioni finalizzate alla difesa di quest’ultimo.
Viene innanzitutto preso in considerazione l’ambito territoriale entro cui il marchio verrà usato, ovvero l’identificazione del mercato o dei potenziali mercati nei quali il marchio è destinato a contraddistinguere gli specifici prodotti o servizi. La predetta operazione deve essere accompagnata dall’esame non solo del carattere fantastico del marchio, bensì della sua novità tramite l’effettuazione di una o più ricerche di anteriorità finalizzate ad individuare l’esistenza di diritti di terzi in ordine al marchio scelto. La verifica deve essere dovutamente approfondita, benché questo potrebbe comportare dei costi crescenti con l’estensione della verifica stessa (costi certamente inferiori a quelli che sarebbero necessari per far fronte a successivi eventuali contenziosi con terze parti che rivendicano diritti anteriori sul marchio nel territorio di riferimento), per avere una fondata certezza in ordine alla novità del marchio scelto.
Le Convenzioni internazionali concernenti la tutela dei marchi, che hanno raccolto e stanno raccogliendo l’adesione di un cospicuo numero di Stati, agevolano l’esecuzione delle procedure necessarie per richiedere la registrazione del marchio nel paese d’interesse consentendo una semplificazione dei suddetti procedimenti amministrativi finalizzati al deposito della domanda di marchio in tutti od in alcuni dei paesi aderenti.[1]
L’entrata in vigore del Regolamento sul Marchio Comunitario (Reg.40/94 del Consiglio CE) consente a tutte le persone fisiche e giuridiche, indipendentemente dalla loro cittadinanza o nazionalità, di ottenere la registrazione di un marchio valido sull’intero territorio dell’Unione Europea, attraverso il deposito di una sola domanda e l’esperimento di un’unica procedura di registrazione.
L’istituto del Marchio Comunitario risolve all’interno del territorio della UE il problema, molte volte non secondario, del non uso del marchio nei singoli stati, poiché l’uso del marchio seppure in un solo stato impedisce la decadenza dello stesso anche con riferimento ai territori degli altri stati.
Le suddette Convenzioni ed il Regolamento agevolano senza dubbio la tutela internazionale del marchio, ma non risolvono in toto i problemi ad essa connessi, essendo ancora oggi altrettanto numerosi gli stati non aderenti alle predette convenzioni che rivestono una estrema importanza nel panorama economico mondiale: si pensi infatti ai principali paesi dell’America Latina.
È perciò assolutamente importante nella fase di approntamento della strategia di difesa del marchio non limitarsi alla tutela nei soli mercati ritenuti di primaria importanza o nei quali è comunque agevole estendere la domanda di marchio, ma è opportuno proiettarsi oltre questo confine considerando quei mercati, benché attualmente non ritenuti strategici, idonei a divenire tali, per le loro intrinseche caratteristiche, in un futuro non lontanissimo. La soluzione innanzi ipotizzata deve d’altra parte limitarsi a quei marchi che hanno una valenza strategica all’interno della specifica impresa o gruppo di imprese.
Il trascurare, infatti, la difesa in questi mercati non di interesse immediato può comportare una perdita del titolo alla registrazione del marchio allorquando si intenda esportare il prodotto dallo stesso contraddistinto in questi Stati. Sovente la notorietà acquisita dal marchio precede l’inizio dell’uso del marchio stesso sullo specifico mercato da parte dell’originario titolare, consentendo in tal modo agli imprenditori locali di appropriarsene (in buona o mala fede spesso poco importa) mediante il deposito della domanda di registrazione che consentirà loro di ottenere il titolo per rivendicare la proprietà del segno distintivo nell’ambito territoriale di riferimento.
Ciò costituisce, in molti casi, un elemento ostativo a danno dell’originario titolare, sia alla promozione con successo della procedura di registrazione del marchio, sia all’esperimento di un’azione di rivendicazione della proprietà del marchio.
Non è spesso possibile per il predetto originario titolare invocare la mala fede dell’imprenditore che ha registrato il marchio in quel determinato paese perché questi può tranquillamente dimostrare di non aver avuto in precedenza con l’originario titolare alcun tipo di rapporto commerciale e neppure di aver avviato con lo stesso una qualsiasi trattativa finalizzata all’instaurazione del predetto rapporto.
Questi fatti comportano per il titolare del marchio il compimento di azioni, tra l’altro particolarmente onerose sotto il profilo economico, quali, ad esempio, indagini investigative-commerciali svolte su larga scala in determinati paesi per individuare eventuali importazioni del prodotto originario da parte di distributori terzi indipendenti in epoca antecedente il deposito della domanda di registrazione operata dall’imprenditore locale, oppure la raccolta di prove in ordine al fatto che l’imprenditore locale, divenuto titolare del marchio, ha richiesto ed ottenuto la registrazione conscio del successo e della notorietà acquisita dal marchio altrove.
In alcuni casi, è stato possibile ottenere pronunce in sede giudiziaria oppure amministrativa favorevoli avendo provato ampiamente, nei modi anzidetti, la mala fede dell’imprenditore locale[2].
La prospettazione dei suddetti precedenti favorevoli non deve in alcun modo distrarre dalla necessità di registrare il marchio nei sopraindicati paesi essendo assai numerosi anche gli altri casi in cui, invece, risulterà totalmente impedito all’originario titolare l’uso del marchio o quantomeno sarà necessario scendere a patti con il titolare locale del marchio sottostando di fatto alle pretese di quest’ultimo, specie per quanto concerne il prezzo di riacquisto.
Alla registrazione del marchio si deve accompagnare anche una sistematica azione di sorveglianza finalizzata a monitorare l’eventuale deposito ad opera di terzi di successive domande alla stregua della registrazione, in favore di questi ultimi, di marchi uguali o simili a quello di diretto interesse. È raccomandabile l’attivazione di un servizio di sorveglianza in relazione ai principali marchi quantomeno nei paesi in cui il marchio è registrato. La tempestiva opposizione alla registrazione del marchio altrui uguale o simile, secondo le procedure previste nello specifico ordinamento, potrà consentire di ottenere un provvedimento di rifiuto ai danni del terzo. In difetto dell’opposizione si rischia di legittimare nel tempo, per acquiescenza, la registrazione e l’uso del marchio da parte del terzo. Il suddetto monitoraggio deve essere posto in essere anche in relazione alla scadenza del marchio per predisporre nei termini consentiti l’istanza di rinnovo della registrazione concessa.
La registrazione del marchio non garantisce di per sé l’esercizio dei diritti di marchio per l’intera durata della stessa. Molti ordinamenti statuali, quali il nostro, dispongono la decadenza del marchio in difetto di un uso effettivo successivamente all’avvenuta registrazione o comunque durante la vita del marchio stesso per un periodo di tempo determinato. Ad esempio il nostro ordinamento, alla stregua degli altri ordinamenti dei paesi comunitari, sancisce detta decadenza nel caso in cui il marchio non venga utilizzato per contraddistinguere prodotti o servizi per un quinquennio.
Per evitare la decadenza, soprattutto nei paesi di secondario interesse commerciale, ove alla registrazione del marchio non necessariamente si accompagna l’uso dello stesso, è raccomandabile pianificare, con cadenza periodica e non necessariamente continuativa, le esportazioni dei prodotti contraddistinti dal marchio verso i suddetti paesi.
Dette soluzioni sovente sono in conflitto con le ragioni di carattere economico, poiché le esportazioni saltuarie dei prodotti verso mercati di scarso interesse commerciale risultano sotto il profilo finanziario onerose anziché vantaggiose. Per questi motivi si incontrano all’interno delle imprese resistenze all’attuazione delle sopra raccomandate misure, che tuttavia costituiscono la soluzione principe per evitare la perdita del marchio per intervenuta decadenza.
In subordine, qualora non si volesse, oppure non si potesse, dar corso alla predetta esportazione, è possibile, atteso il decorso del periodo di compimento della decadenza, procedere al deposito di una nuova domanda di registrazione del marchio, avendo l’accortezza in alcuni casi di apportare delle modificazioni all’originaria domanda. Ad esempio, nell’ipotesi di intervenuta decadenza di un marchio complesso si potrebbe procedere al nuovo deposito di due separate domande concernenti rispettivamente la componente verbale e la componente figurativa (se dotate di autonoma capacità distintiva). Una diversa soluzione per il mantenimento in vita del marchio in paesi in cui il titolare non opera direttamente consiste nel concedere in licenza il marchio stesso ad un imprenditore locale, benché questa soluzione apra poi altre problematiche legate al controllo dell’operato del licenziatario medesimo.
Non deve d’altra parte essere sottaciuto, riguardo al marchio notorio, il rischio di decadenza per intervenuta volgarizzazione del marchio stesso, qualora “sia divenuto nel commercio, per il fatto dell’attività o dell’inattività del suo titolare, denominazione generica del prodotto o servizio” (Art.13.4 D.lgs.10 febbraio 2005 n.30).
Un uso scorretto del marchio, da parte del suo titolare, è infatti spesso il punto di partenza del processo di volgarizzazione.
Grande attenzione, quindi, a che il marchio sia utilizzato, sia sul prodotto, sia in tutte le forme di presentazione e di comunicazione, in modo da rendere chiaro ed evidente che, appunto, di marchio si tratta, e non di altro. A questo riguardo è fondamentale ricordare una norma semplicissima, e cioè che il marchio ha una funzione segnica e come tale non deve mai essere usato come “nome generico” del prodotto.
Per tale ragione è assolutamente indispensabile a tutela del proprio marchio notorio sia controllare ed impostare nel senso sopra indicato tutte le modalità di presentazione e di comunicazione del prodotto, sia avviare le azioni legali a tutela di modalità improprie di uso del proprio marchio da parte di terzi. Al riguardo si rammenta che la nuova Legge Marchi ha reso fondamentale che tali azioni siano avviate, subordinando il prodursi della volgarizzazione non solo al fatto obiettivo della volgarizzazione, e cioè della caduta del marchio in dominio pubblico come termine divenuto denominazione corrente del prodotto, ma anche all’inerzia del titolare del marchio. Tecnicamente si parla di passaggio dalla previgente teoria “oggettiva” della volgarizzazione ad una nuova teoria “soggettiva”, dove appunto il comportamento del titolare del marchio è una componente importante nel prodursi della fattispecie della volgarizzazione[3].
All’atto del deposito del marchio si dovrebbe avere cura di rivendicare la protezione del segno distintivo non solo con riferimento alla classe in cui il prodotto è specificatamente classificato, bensì alle altre classi in cui sono ricompresi prodotti affini a quello di immediato interesse[4]. Si pensi, per esempio, ad una pasta alimentare, come tale rientrante tra i prodotti elencati nella classe 30, e ad una pasta dietetica, invece classificata in quanto prodotto dietetico in classe 5, oppure ad un’attività di ristorazione (ove vengono normalmente preparate e somministrate paste alimentari) classificata in classe 43 così come le attività di vendite al dettaglio di prodotti alimentari, in alcuni casi venduti con il marchio del distributore e non del fabbricante. Nell’esempio di cui sopra, la registrazione del marchio destinato a contraddistinguere originariamente paste alimentari in tutte le sopra elencate classi costituirà un deterrente per coloro che intendessero appropriarsi del marchio per contraddistinguere non solo prodotti affini, ma anche attività commerciali in cui normalmente vengono vendute o somministrate paste alimentari.
Qualora il marchio abbia poi assunto rinomanza o si presuma che la stessa sarà acquisita in un futuro prossimo[5], la registrazione andrà eseguita per un numero maggiore di classi se non in tutte le classi.
Il marchio deve essere protetto anche sulla rete Internet mediante la registrazione dello stesso come dominio. Internet, infatti, rappresenta una vera e propria nuova frontiera per la difesa del marchio stante la sostanziale deregolamentazione di detto sistema telematico. Tale registrazione, se compiuta tempestivamente, scongiurerà il fenomeno meglio conosciuto come “cyber squatting” o “grabbing” ovvero l’appropriazione del dominio corrispondente al marchio da parte di terzi per fini certamente illeciti (con la finalità di cedere il dominio al titolare del corrispondente marchio lucrando sul prezzo oppure danneggiare gli interessi economici e l’immagine del suddetto titolare con un uso distorto del dominio). L’evitare tale fenomeno consentirà altresì di non dovere promuovere procedure arbitrali o giudiziarie, sia per acclarare l’uso illecito del dominio registrato dal terzo, sia per rivendicare la proprietà dello stesso a favore del titolare del marchio. La proliferazione delle estensioni sotto le quali poter registrare un dominio (attualmente oltre alle estensioni maggiormente note, quali ad esempio <.com>, <.net> e alle estensioni relative ai singoli paesi- es. <.it>, stanno proliferando ulteriori estensioni, i c.d. top level domains generici (quali ad esempio <.ticket>, <.coupon>) impone anche la necessità di pianificare con accuratezza le estensione sotto le quali registrare il marchio quale dominio.
Quanto descritto nel presente articolo costituisce una panoramica (senza alcuna presunzione di esaustività) sulle possibili azioni da porre in essere per la difesa del marchio da parte del relativo titolare al fine di assicurarsi il diritto esclusivo di uso del proprio marchio, nonché costituire dei deterrenti nei confronti dei terzi intenzionati ad usurpare i diritti di marchio o comunque a compiere atti di concorrenza sleale nei confronti del predetto titolare.
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[1] La Convenzione di Unione di Parigi, che segna una tappa importante nel movimento, accentuatosi nella seconda metà del XIX secolo, verso l’unificazione internazionale del diritto di marchio, fu firmata il 20 marzo 1883 a Parigi da undici Stati (Italia, Belgio, Brasile, Francia, Guatemala, Olanda, Portogallo, San Salvador, Serbia, Spagna e Svizzera). Il testo originario della Convenzione fu modificato una prima volta a Londra nel 1934, e fecero poi seguito la revisione di Lisbona del 1958 e quella di Stoccolma del 1967. Attualmente sono membri della Convezione quasi tutti gli Stati del mondo. L’Accordo di Madrid per la Registrazione Internazionale dei Marchi (c.d. Arrangement de Madrid) fu stipulato il 14 Aprile 1891 tra Belgio, Francia, Guatemala, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svizzera e Tunisia. Il testo originario fu poi rivisto a Nizza il 15 Giugno 1957. Attualmente sono membri di questa convenzione, tenendo conto anche della entrata in vigore di una convenzione collaterale (il c.d. Protocollo di Madrid, adottato il 27 giugno 1989, a cui hanno aderito paesi importanti, come il Giappone ed i paesi dell’Europa del Nord, USA) circa una novantina di paesi. Accordo e Protocollo di Madrid consentono attraverso il deposito di un’unica domanda presso l’OMPI di Ginevra l’ottenimento di un fascio di registrazioni con riferimento ai singoli Stati designati.
[2] Nei primi anni ’90 in Brasile, la controversia sorta tra la società Barilla ed un imprenditore locale, che aveva richiesto la registrazione del marchio Mulino Bianco, si risolse positivamente a favore della predetta società Barilla avendo potuto quest’ultima dimostrare la notorietà internazionale del proprio marchio (dimostrazione resa documentando sia le vendite, sia le registrazioni del marchio in molti paesi del mondo) e, conseguentemente la mala fede e la slealtà concorrenziale della controparte. A quest’ultima non giovò neppure l’invocazione dell’intervenuta decadenza per non uso del marchio, poiché la società Barilla riuscì a provare un uso del marchio che, benché tardivo (ovvero successivo a quello previsto dalla legge) servì a suffragare la “non intenzione di abbandonare il marchio”, anzi del perdurare dell’interesse in relazione allo stesso, supportando in tal modo ulteriormente la tesi in ordine alla mala fede della locale controparte. La quivi richiamata decisione dell’Ufficio Brevetti e Marchi Brasiliano è stata pubblicata sulla Gazzetta dei Marchi Brasiliani del 5 aprile 1995.
[3] Del problema devono essere interessati, a monte di tutto, anche i c.d. “creativi”, posto che l’esperienza storica dei più famosi marchi volgarizzati (cito “thermos”, come “cellophane”, o “elevator”) ci insegna che a volgarizzarsi sono quasi sempre i marchi di prodotti fortemente innovativi, nati senza avere l’avvertenza di affiancare al marchio un nome comune, ed un nome comune semplice, da utilizzare in abbinamento con il marchio. È chiaro, infatti, che se il marchio “thermos” si volgarizzò fu perché il suo inventore e produttore non si curò, o forse non riuscì, ad abbinare al marchio THERMOS un nome più semplice di qualcosa come “recipiente di vetro a doppia parete, con le facce interne argentate e l’intercapedine vuota, per conservare a lungo un liquido caldo o freddo”. Molto più semplice chiamare quel prodotto “thermos”, indipendentemente dal suo produttore e dall’intenzione di riferirsi al prodotto in quanto proveniente da una ben identificata fonte produttiva, e non da un’altra qualsiasi, così come oggi è evidentemente più semplice, se non quasi necessario, entrare in cartoleria e chiedere di un “blocchetto di post-it”, senza con questo voler fare riferimento, e quindi chiedere, un blocchetto di tali prodotti fabbricati dalla 3M. Ciò avviene in quanto tale prodotto, proprio perché assolutamente nuovo, non è stato abbinato ad un nome comune semplice, e di facile memorizzazione (tale non è certamente qualcosa del tipo “foglietto autoadesivo riposizionabile”, evidentemente rimpiazzato nell’uso corrente da “post-it”, in chiave generica).
[4] L’Arrangement di Nizza (sottoscritto il 15 giugno 1957 e più volte modificato – da ultimo la 10^ edizione del 2012), concernente la classificazione internazionale dei prodotti o servizi ai fini della registrazione dei marchi prevede una lista di classi ed una lista alfabetica di prodotti e servizi con l’indicazione della classe cui ciascuno di essi è attribuito.
[5] Il marchio potrebbe essere usato per contraddistinguere prodotti diversi tra loro e non affini, anche attraverso licenze d’uso concesse a terzi imprenditori operanti in settori diversi.