Giuliano Ghillani Consulente e formatore esperto in Industrial Process Re-engineering e Lean Organization
La Lean Philosophy, sia nelle aziende manifatturiere di ogni tipologia – produzione in serie o configurata – che nelle imprese di servizi porta all’eliminazione sistematica e sistemica degli sprechi ed al miglioramento dell’efficienza nella produzione e negli uffici.
Nel 2015, in uno scenario di mercato italiano ad alta criticità, parlare di organizzazione snella in imprese di qualsiasi dimensione, quindi, dovrebbe essere un’operazione superflua, mentre, invece, la realtà è totalmente diversa poiché le imprese Lean in Italia sono decisamente poche.
Oltretutto, negli ultimi trent’anni hanno dato il loro contributo anche numerose società di consulenza in tutti i continenti alla diffusione del “verbo” del Toyota Production System (TPS), antesignano ed inventore negli anni ’50 del Just-in-Time (JiT), e della versione americana, internazionalmente chiamata Lean Organization (Jones, Womack), e sempre con ottimi risultati.
Perciò a questo punto diventa interessante domandarsi perché tante aziende ancora non introducano questi concetti, se sono così vantaggiosi per la riduzione del tempo che intercorre dall’arrivo dell’ordine alla spedizione al cliente (tempo di attraversamento TA), per la minimizzazione dei costi industriali e delle scorte, e per i processi nelle fasi di entrata (MMP) e di uscita (MPF).
La risposta sta nel fatto che molte realtà industriali hanno tentato di adottare in modo sommario e spesso superficiale, quindi senza la necessaria convinzione, alcuni degli strumenti che fanno parte della filosofia snella ed hanno ottenuto scarso successo. Accettare di sottoporsi ad una tale “rivoluzione copernicana” vuol dire sposare con convinzione la filosofia LEAN in modo integrale senza dubbi o tentennamenti, che minino la realizzazione di una svolta epocale provoca, entrando nel DNA dell’azienda e in tutta la sua struttura, durante ed anche dopo la trasformazione per arrivare al vero risultato.
Diventa evidente, quindi, come previsto dalla “Casa della Lean” (Fig. 1), che alla base di qualunque revisione organizzativa occorre uno sponsor convinto e decisionale, che non può essere che l’imprenditore, il massimo responsabile dell’azienda. Non crederci fino in fondo, voler fare solo una prova, limitarsi a poche modifiche organizzative, investire “il minimo”, sono i trabocchetti che autogiustificano l’insuccesso nell’inserimento della Lean Organization. Dopo un tentativo timido con insuccesso si può arrivare addirittura ad una forma di rassegnazione, che parte dall’incapacità di proiettare gli obiettivi nel futuro e dalla sottovalutazione dei pericoli che si corrono in assenza di adeguamento della struttura alle mutanti necessità di competitività (Continuità di Impresa).
Come citato in vari documenti dalla Banca d’Italia già fin dal 2012[1], nelle PMI l’atteggiamento di chi gestisce, in molti casi, è quello di sfruttare finanziariamente l’impresa con politiche a breve termine e scarsi investimenti, con il malcelato obiettivo di vendere la struttura obsoleta appena possibile, o nei casi più drammatici, di estinguerne l’esistenza, distruggendo un patrimonio e creando gravi “vulnus” sociali.
D’altra parte, invece, vi sono esempi eclatanti di imprese che hanno operato una trasformazione profonda e che hanno superato senza gravi conseguenze lunghi periodi di crisi aumentando la resilienza, e appena si sono verificate le condizioni ripartendo a tutta velocità.
I nomi più conosciuti? Porsche, Audi, FCA, Luxottica, Aermec, Lamborghini e Ducati.
Questi sono riferimenti molto significativi di uno sviluppo consapevole tramite l’adozione della Lean in uno scenario organizzativo ad alta complessità, ma vi sono anche tanti esempi meno conosciuti di PMI in tutto il mondo.
Una percentuale ancora oggi molto elevata di imprenditori italiani si cela dietro un comportamento che tende all’evitamento delle novità, accampando scuse discutibili quali “è un’organizzazione adatta solo a grandi aziende”, “va bene solo per le fabbriche automobilistiche”, “è adatta ad una cultura giapponese”. Così facendo, però, si perde una grande opportunità di sviluppo industriale, il cui unico sbocco, in questo modo, è finire preda di grossi gruppi stranieri, spesso interessati a de-localizzare le attività industriali nei paesi di origine ed ansiosi solo di accaparrarsi brand prestigiosi sotto il cui cappello posizionare nuove gamme di prodotti progettati e realizzati fuori dal nostro paese.
La mia personale esperienza di cinque trasformazioni in altrettante aziende nazionali mi ha invece consentito di toccare con mano i risultati e gli importanti stimoli ottenuti a tutti i livelli aziendali, dal vertice alle maestranze, che hanno sempre espresso lo stesso commento meravigliato una volta introdotta la Lean Organization: “Perché non l’abbiamo fatto prima?”.
Per concludere, rimane una ultima esortazione a quegli imprenditori dubbiosi e poco propensi a mettersi in discussione ed ai loro manager: “Abbiate il coraggio di fare un atto d’amore verso la vostra azienda, difendete il suo valore e liberatela dagli sprechi garantendole un futuro di crescita e di successo: efficacia, efficienza e la soddisfazione di tutti gli Stakeholder sono esattamente le basi della sostenibilità e della continuità d’impresa nel tempo”.
[1] Banca d’Italia Eurosistema, “Questioni di economia e finanza – Il gap innovativo del sistema produttivo italiano: radici e possibili rimedi”, Aprile 2012.